La fine della coscienza? Dalla mente bicamerale all’intelligenza artificiale (recensione di Fabio Presti)

Gianluca Ciuffardi e Tommaso Perissi: La fine della coscienza. Dalla mente bicamerale all’intelligenza artificiale. Golem Edizioni, Torino 2022, pagine 234, Euro 22.00

Da sempre l’estate rappresenta per me non soltanto il momento del riposo e del divertimento ma anche l’occasione per lasciare libera la mente di andarsi a cercare, in modo disordinato e saggio, ciò di cui sente veramente bisogno per rigenerarsi. Così non di rado mi ritrovo ad ascoltare, magari dallo smartphone, lezioni di maestri e pensatori, seguendo unicamente la linea sottile della mia curiosità. Lo scorso agosto ero per l’appunto alle prese con una vecchia intervista a Stanislav Grof, eminente studioso di stati non ordinari di coscienza, che nello specifico affrontava temi quali le esperienze di premorte, la sincronicità, lo sciamanesimo, proponendo la sua personale e molto specifica visione della coscienza umana. Proprio mentre ero immerso in questa affascinante materia, mi giungeva via mail la proposta di recensire il volume di Ciuffardi e Perissi intitolato La fine della coscienza? il cui sottotitolo recita: dalla mente bicamerale all’intelligenza artificiale. Il testo approfondisce con un taglio scientifico e divulgativo, tematiche relative alla coscienza, al rapporto tra percezione e realtà, spingendosi a indagare cosiddetti fenomeni paranormali quali le esperienze di premorte, le percezioni extrasensoriali, l’astrologia e, naturalmente, l’intelligenza artificiale. Mi è sembrata questa una notevole coincidenza, anzi vorrei dire sincronicità, termine che utilizziamo quando un input che giunge dall’esterno risulta talmente sintonico con un processo interiore, da stimolare un’esperienza pregnante in chi lo vive. Chissà se a questo punto gli Autori penseranno che io sia incappato proprio in uno di quegli errori percettivi che ben descrivono nel testo, come ad esempio la correlazione illusoria o il bias confermativo, in base ai quali le persone finiscono per sostenere la veridicità dei presunti fenomeni paranormali. Fatto sta che volentieri ho accettato la sfida di questa recensione, perché di sfida si tratta, quando si affronta uno dei grandi misteri ancora irrisolti dalle neuroscienze, ovvero la coscienza umana e, soprattutto, quando le domande in gioco sono di questo tenore:

“Che cos’è la realtà? E’ davvero possibile riuscire a vedere le cose per quelle che realmente sono? E qual è il rapporto ultimo tra verità e finzione? Le storie personali che raccontiamo quanto hanno di vero e quanto, invece, sono debitrici dell’idea che abbiamo sviluppato circa noi stessi e gli altri? In quale punto si colloca il confine tra la coscienza e la realtà esterna?”

Ma non bisogna spaventarsi perché, come sempre, Ciuffardi e Perissi hanno la grande capacità di affrontare tematiche anche molte complesse rendendole leggere e accessibili; e infatti la scorrevolezza, l’alternanza tra i riferimenti scientifici e quelli letterari, cinematografici e artistici, si conferma il punto di forza della loro esposizione.  Entriamo ora nel vivo del testo: gli Autori prendono le mosse dagli studi di Jaynes sulla “mente bicamerale”, il quale teorizzò che il prevalere dell’emisfero sinistro sul destro sarebbe una novità abbastanza recente nell’evoluzione della coscienza umana. Fino a circa tremila anni fa, infatti, gli uomini non avrebbero posseduto una coscienza e un’intenzionalità per come la intendiamo oggi e le loro azioni sarebbero state guidate da voci interiori, percepite come emanazioni di entità soprannaturali. Solo a un certo punto della nostra storia avremmo iniziato a percepire noi stessi e il mondo circostante come entità separate, tendenza sostenuta dallo sviluppo del linguaggio e accentuata dai successi sempre crescenti della tecnica. Nel tempo, la necessità di focalizzarci sulla realtà esterna per risolvere problemi –  notano Ciuffardi e Perissi – ci ha spinti a pianificare le nostre attività in modo sempre più preciso e dettagliato e a suddividere i problemi in stadi successivi per risolverli. La nostra coscienza ha quindi appreso a escludere dal dialogo interiore tutte le altre fonti di distrazioni, diversamente da quanto accadeva ai tempi della mente bicamerale. Se è vero che questa distinzione tra realtà esterna e coscienza ha rappresentato un salto evolutivo per l’uomo, gli Autori notano come oggi, sia nelle neuroscienze sia nelle prevalenti prospettive epistemologiche, la distinzione tra res cogitans e rex estensa sia sempre più sbilanciata in favore della prima, ovvero la mente, a scapito della seconda, ossia la realtà:

Se si prendono alla lettera tutte le considerazioni dei costruttivisti, specialmente quelli radicali – lo stesso discorso vale anche per il buddismo o la fisica quantistica – sembra quasi che ad aver diritto a esistere sia sempre e comunque soltanto la mappa e mai il territorio, che non a caso diventa quasi superfluo. A forza di dire che tutto equivale a una costruzione mentale, dalle emozioni alle osservazioni astronomiche, si arriva a perdere di vista il contatto con la realtà

E qui mi sembra di sentire l’eco del pensiero di Miguel Benasayag il quale da anni sostiene qualcosa che dovrebbe essere ovvio, ovvero proprio che in realtà il territorio esiste contro una tendenza dominante della ricerca tecnoscientifica ad abolirlo, ovvero a forzare il limite biologico del corpo, della morte e della soggetività umana, costringendo l’uomo ipermoderno a un esilio immaginario dalla natura, dagli altri e in ultima analisi, da sé stesso.  Continuando su questi temi, il capitolo la sindrome del cervello autistico ci mostra come anche in psichiatria abbia preso sempre più piede un’accezione deterministica della coscienza, secondo la quale il mondo che percepiamo non sarebbe altro che un’immagine riflessa, ricostruita dai neuroni a partire dagli stimoli esterni che li eccitano. In questa concezione di fatto, non sarebbe possibile interagire in modo diretto con la natura e con l’ambiente e, addirittura quest’ultimo cesserebbe di esistere, ridotto a un simulacro, a un’immagine ricostruita da un cervello “robotico”, ossia funzionante in maniera del tutto autistica. Ciuffardi e Perissi compiono a questo punto un passaggio interessante, facendoci notare come, se la realtà viene ridotta a un’immagine interiorizzata di ciò che percepiamo, rischiamo potenzialmente di giustificare la distruzione stessa del mondo, sia attraverso un rapporto deleterio e predatorio con la natura, sia per un disinteresse verso i problemi ambientali.  Sull’altro versante, quello che riguarda lo sviluppo della digitalizzazione e dei sistemi informatici possiamo riscontrare una narrazione altrettanto deleteria che pone eccessiva enfasi sulle capacità di calcolo dei sistemi digitali (in vero molto superiore a quella del cervello) ma che non prende in sufficiente considerazione gli aspetti qualitativi della mentalizzazione umana, ovvero la funzione simbolica, la creazione di senso e la capacità di manipolare in modo creativo gli elementi del mondo. La superiorità delle moderne tecnologie, notano gli Autori, riguarda solo un determinato aspetto della capacità cognitiva, ovvero la velocità di elaborazione dell’informazione mentre è fondamentale prendere in considerazione quegli elementi di unicità e di peculiarità della coscienza umana che probabilmente le macchine non potranno mai eguagliare.

Come avrete intuito La fine della coscienza? è un testo ricco e intrigante, a tratti impegnativo ma sempre molto stimolante. I temi affrontati che a prima vista potrebbero sembrare distanti tra loro, sono a ben vedere connessi da un filo rosso che costantemente riemerge attraverso le pagine, e che mi sembra ben evidenziato in questo passaggio:

Se la mentalità sacrale è un’eredità culturale dell’antica mente bicamerale, con cui si riconduce ogni singolo evento all’azione di enti soprannaturali, lo scientismo rappresenta in molti casi la forma moderna (e degradata) di quel medesimo pensiero magico che porta a credere che la mente funzioni secondo la logica binaria di un algoritmo. Attribuendo un potere quasi mistico ai dati, infatti ogni cosa viene meccanicamente ricondotta ad essi: di nuovo non stiamo più guardando la realtà concreta, bensì le mappe mentali e la loro riproduzione matematica sotto forma di numeri.

Fabio Presti
Psicologo, Psicoterapeuta corporeo ed EMDR, Centro Clinico de Sanctis Roma

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