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Recensione di Massimo De Franceschi, psicologo-psicoterapeuta
La recensione contiene la trama del film. Suggerisco ai lettori di vederlo prima di leggerla per assaporarne genuinamente la narrazione.
I cani hanno bellezza senza vanità, forza e coraggio senza ferocia e tutte le qualità degli esseri umani senza i loro vizi… per quanto ne so io, hanno solo un difetto: si fidano degli umani. E’ una delle frasi profonde e stimolanti che il protagonista del film Doug (Douglas, in realtà) dice alla psichiatra che è stata chiamata dopo il suo arresto. Doug è stato trovato insanguinato, vistosamente vestito da donna, alla guida di un furgone stracolmo di cani.
Il film si sviluppa tra la sala di consultazione, dove Douglas e la psichiatra ripercorrono le fasi della vita di lui, e flashback che ci mostrano episodi della vita del protagonista. Veniamo presto a conoscere la storia dell’uomo arrestato, fatta di un’infanzia di violenze da parte del padre e del fratello; di una madre abbandonica proprio quando il figlio aveva più bisogno di lei perché rinchiuso dal padre nella gabbia dei cani che usava per affamare gli animali che poi utilizzava nei combattimenti a scopo di lucro; di un quasi incidente dove il padre spara al figlio, che riporterà un danno alla colonna vertebrale (che lo lascia, anche metaforicamente, incapace di stare in piedi per lungo tempo); di una relazione con tratti paranormali con i cani e molto altro.
Tornando alla frase iniziale, anche i cani hanno una mancanza, ma l’hanno proprio là dove di solito si evidenzia la loro caratteristica più apprezzata: si fidano, si affidano, sono fedeli all’uomo. Fedeltà e fiducia hanno, ovviamente – vista la storia pluritraumatica di Douglas – una valenza negativa: chi avrebbe dovuto prendersi cura di lui gli fa del male, molto male, con azioni e abbandoni. Il senso di solitudine e abbandono che aumentano mentre viene spostato, una volta incarcerati padre e fratello, da un istituto all’altro, sembra svanire quando una giovane insegnante lo avvicina al teatro e lui si innamora di entrambi, tanto che la recitazione diventerà parte della sua vita e fonte integrante di reddito quando si esibirà truccatissimo e bravissimo su un palco di un locale per drag queen. Talmente forte era il suo bisogno di riconoscimento e amore che l’insegnante verrà seguita prima a distanza, attraverso i giornali che parlano di lei, poi la incontrerà di persona, scoprendo che il suo amore non era ricambiato che lui aveva solo fantasticato su una possibile storia sentimentale (in verità con qualche complicità più o meno consapevole dell’insegnante). Altra donna che illude, che abbandona…. e allora Doug (che non a caso ha nel nome la parola cane con solo una u di umanità in più) sceglie come famiglia quella dei cani e inizia un’esistenza ai margini della società.
Un’esistenza che rifiuta la complessità dell’esistenza umana a favore di una visione dicotomica della stessa. Ma la realtà è davvero complessa e multisfaccettata: è fatta dall’amore che salva, ma che può anche schiacciare (‘legami che feriscono e legami che curano’, per parafrasare un bel libro di qualche anno fa edito da Bollati Boringhieri); fatta da una solitudine ricercata come un bene, ma che non vede l’ora di essere interrotta da una relazione umana; da una religione che sostiene e a cui aggrapparsi e una religione malevola (la famiglia da cui proviene Doug ha una chiara impronta religiosa, deformata ed è utilizzata come giustificazione delle atrocità familiari); dall’essere divisa in uomini e donne (il suo travestirsi da donna per gli spettacoli, su cui torneremo tra poco); dall’essere difficilmente scomponibile in solo vittime e solo carnefici.
Ecco che allora l’amore, ricambiato, per i cani è una via sicura, facile, semplificante, di un mondo che ha in molti modi usato violenza su di lui: gli uomini mischiano amore e odio, i cani no. Non è un caso se nelle società occidentali il tasso di natalità è in costante calo e le case si popolano di animali domestici al posto dei bambini: è molto più semplice gestire la relazione con un cane che con una persona in divenire, nostra pari, libera, fatta di ombre e luci come sono gli esseri umani. Sembra mancare al protagonista la capacità di riconoscere un elemento sostanziale della realtà, quello che il simbolo cinese yin-yang esemplifica in modo ammirevole: in ogni realtà è presente il suo contrario, nel bianco c’è del nero e viceversa e lo stesso colore si avvicina all’altro con l’effetto onda o, per stare ad elementi culturali più familiari, accettare che non è per noi possibile riconoscere con sicurezza il grano dalla zizzania (Mt. 13, 24-30). Ma anche dentro Doug c’è un’enorme complessità dove alberga, non riconosciuta, anche in lui l’illegalità sotto forma di furti negli appartamenti e la vendetta omicida: non dimentichiamo che, lasciando stare la banda di malavitosi latinos sterminata dai suoi cani per legittima difesa, fa uccidere dai suoi animali l’agente assicurativo e soprattutto il fratello uscito dal carcere. Per questo non sono d’accordo nel considerare la storia narrata dal film come un esempio di resilienza: il protagonista è stato colpito nel profondo dalla violenza familiare ben oltre il proiettile sparato dal padre e conficcatosi vicino alla colonna vertebrale. Anche la visione dei bisogni di base degli esseri umani risente della sua storia personale: dice che le persone vogliono essere amate e protette, senza considerare l’altro polo dell’esistenza, cioè la ricerca di stimoli, novità, esplorazioni… Anche l’aspetto che potrebbe sembrare più originale e frutto di accettazione-esplorazione di parti in ombra di sé, il suo lavorare in un locale di drag queen, in realtà, a mio parere, sembra più un tentativo di elaborare il suo rapporto con il mondo femminile, ma su questo aspetto torneremo in seguito.
Come nei maschi della sua famiglia di origine, anche in Doug la violenza è protetta da teorizzazioni e strutture di significato, intellettualizzazioni indubitabili. Ma, ovviamente, il fatto di conoscere tutta la storia di Doug ce lo fa sentire vicino e tolleriamo, o proprio non vediamo, questi aspetti negativi. Insomma, anche lo spettatore deve tener presente che il lato al sole di una montagna diventa ombra quando gira il sole. Il film non rappresenta, quindi, una storia rassicurante, come quelle di altri bambini mitici o della letteratura cresciuti da animali (Tarzan, Mowgli e se vogliamo Romolo e Remo), anzi in alcune scene il regista sapientemente sembra trasmettere una dose di ansia legata all’anticipazione di uno scatto di violenza del protagonista che però non avviene, forse il suo essere bloccato su una sedia a rotelle gli impedisce di agire quella aggressività che da qualche parte alberga anche in lui. Del resto non c’è da stupirsi degli aspetti meno ‘presentabili’ del protagonista: la ricerca psicologica evidenzia da tempo la possibilità della trasmissione intergenerazionale della violenza familiare che la terapia, e nel film l’amore verso i cani, può tentare di interrompere (altra possibile risposta alla violenza familiare è cercare, involontariamente, relazioni simili: la psichiatra ha avuto alle spalle un genitore violento si è trovata dentro una relazione violenta con il marito, forse interrotta solo dalla necessità di protezione verso il figlio).
Tutta la storia del protagonista viene raccontata a una figura femminile, la psichiatra di cui parlavamo all’inizio. E Doug giustifica la sua volontà di narrarle la storia della sua esistenza perché riconosce nella donna lo stesso dolore: l’essere stata vittima di violenza (sono convinto che gli inconsci di due persone sappiano conoscersi ben prima di quanto possa fare la consapevolezza): sapremo, infatti, che la psichiatra ha da poco interrotto la relazione abusante con il padre di suo figlio. Ma, a ben guardare, la fiducia (relativa) che scatta tra i due personaggi forse inizia dalla prima interazione tra loro. Lei gli fa notare che nei locali della prigione non si può fumare, lui le chiede se le dà fastidio e lei risponde non tanto. Ecco, possiamo leggere questo scambio come un test di sicurezza della relazione superato (e come succede spesso sia la proposta del test, sia il suo superamento o meno avvengono in modo inconsapevole). Con la sua risposta sincera, ma che non ostacola il bisogno di Doug, la dottoressa evidenzia come ci siano regole, ma che le stesse possono essere sospese in qualche caso. Con una sola risposta lei gli ha fatto balenare la possibilità di una relazione accettante, empatica e autentica (un gioiello di risposta dal punto di vista della psicologia umanistico-esistenziale). E che Doug aneli a relazioni con queste caratteristiche si evidenzia, per esempio, dal fatto che lui chiama per nome tutti i cani e le persone, perfino del malavitoso che poi ucciderà vuole conoscere il nome per catturarne l’essenza, per costringerlo a una relazione vera (quanta ingenuità nel pensare che un accordo verbale lo vincolasse davvero!).
Nel suo peregrinare in cerca di un’occupazione, dicevamo, Doug si imbatte nell’offerta di un lavoro come attore travestito da drag queen (sembra incapace di far valere la sua laurea in biologia, altro elemento che potrebbe concorrere a farci vedere il protagonista come gravemente carente nelle capacità di relazione e integrazione nel mondo umano) e con l’aiuto degli altri artisti viene scritturato. Sembra iniziare la sua ricerca di un’elaborazione del rapporto con il mondo femminile, mai completata: da sempre ascolta i dischi che la madre amava, come anche cucina con passione proprio come faceva lei. Madre prima, e insegnante di recitazione poi, abbandonica e trascurante. Questo suo esibirsi non sembra avere a che fare con un’incertezza della sua identità di maschio o con l’orientamento sessuale: questo esagerare nel travestimento, tipico del mondo drag, sembra più un cercare di capire dall’interno il mondo femminile, le femmine che tradiscono le aspettative legate a una relazione accudente. A proposito di questo suo esibirsi travestito la spiegazione di Doug riguarda il suo essere qualcun altro, mentre per la psichiatra è un tentativo di nascondere qualcosa. Entrambe le letture possono contenere una parte di verità: essere come la madre per capire l’abbandono e contemporaneamente fuggire (nascondere) la violenza che sembra insita nei maschi. Tale lavoro di comprensione viene bruscamente interrotto dai malavitosi che cercano vendetta e portano Doug a scappare ferito, con i suoi cani. E si torna alla scena iniziale.
Il film si conclude con il protagonista che riesce a scappare di prigione (altra gabbia) grazie all’aiuto dei suoi animali per andare a morire davanti a una chiesa, all’ombra di una croce dove il suo stare davanti a Dio e invocarlo è contemporaneamente ricerca del senso più profondo della sua vita fatta di emarginazione e sofferenza, presentazione del bene che ha compiuto e richiesta di perdono per il male che ha prodotto.
27/06/2024
Massimo De Franceschi, psicologo e psicoterapeuta
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