Il ritorno del padre (recensione di Marco SCICCHITANO)

Claudio Risé, Il ritorno del padre
Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2022, pagine 224
, €  18.00.

Nel 7° episodio della serie di maggiore successo della piattaforma di streaming più diffusa al mondo, Netflix, troviamo due uomini adulti, prigionieri e destinati ad affrontare un mostro feroce in uno scontro fisico con pochissime possibilità di vittoria, che discorrono fra loro in un momento di intima amicizia. Nell’ultimo momento di quiete, prossimi ad affrontare la probabile fine, contemplando la possibilità di morire da lì a poco, rivolgono il proprio pensiero e i propri dialoghi ai  figli, commentando quanto siano critici nei loro confronti, sapendo di aver fatto loro stessi nella stessa maniera con i loro padri “è nel nostro DNA rifiutare i nostri padri, per crescere e voltare pagina, prendere il volo”. Parliamo di Hopper, il padre adottivo di Eleven, la protagonista della celebre serie Stranger Things.

È un momento decisivo della serie, Hopper è un personaggio molto amato dal pubblico, forse proprio perché fragile, generoso e disposto a qualunque cosa pur di proteggere la piccola Eleven, e molte delle caratteristiche che piacciono di più del personaggio sono probabilmente quelle che caratterizzano il suo lato umanamente paterno, fallibile perché emotivo e ferito, ma interiormente motivato a dare tutto ciò che può per le persone che ama. Nel contesto attuale, in cui la paternità sembra essere misconosciuta e rifiutata, questo riferimento positivo al paterno può sembrare particolare, eppure non è l’unico: ampliando lo sguardo è possibile accorgersi che spuntano continuamente storie in cui una figura paterna conduce, proteggendolo, un piccolo verso la propria realizzazione.

Cambiando piattaforma, e atterrando su Disney+, ecco che l’ultima storia firmata Star Wars racconta proprio di un rapporto simil paterno, tra Obi Wan e Leia, dove nuovamente la storia prende forza e trascina il lettore nelle sue trame anche grazie alla fascinazione del rapporto che sviluppa tra i due, con scambi impertinenti, teneri e giocosi che la giovane Leia ha con il Jedi. Eppure, lo stesso plot lo avevamo già visto in casa Star Wars, e non da poco tempo: non è forse un rapporto simil paterno quello che si sviluppa tra il Mandaloriano e il piccolo Grogu? La serie del cacciatore di taglie è probabilmente una delle rese seriali migliori degli ultimi anni, riscontrando un gran successo da parte dei fan delle vicende galattiche e non solo e il rapporto tra i due protagonisti è certamente un elemento che ne ha fatto esplodere il successo. Star Wars fa triplete con la serie animata The Clone Wars, dove la giovane padawan Ahsoka Tano è educata e formata sul cammino della Forza da Anakin Skywalker.

Troviamo quindi uno stesso stilema narrativo in ben tre serie praticamente contemporanee in un franchise che, effettivamente, del rapporto con il paterno segna uno dei suoi tratti distintivi, basti pensare a quella che, probabilmente, è una delle citazioni più famose del cinema…. “Luke, io sono…….. (l’avete completata, scommetto!) Come mai sceneggiatori e produttori delle serie targate Disney, tanto attente ai bisogni del mercato e alle richieste esplicite e implicite di intrattenimento, rivolgono al rapporto paterno tanta attenzione? La domanda resta ancora più nettamente incisa nella mente di chi vuole comprendere i fenomeni sociali del nostro tempo a partire dalle produzioni culturali, se ci rivolgiamo al settore videoludico, dove il gioco più apprezzato di questi ultimi anni è sicuramente The Last of US, un gioco narrativo e avventuroso con una profonda storia che avvince il giocatore intorno alle vicende di una figlia e un padre. Ancora una volta. Ci possiamo domandare come mai sembri così pressante il ricorrere al rapporto con il paterno, per dare profondità e attrattività alle storie.

La risposta a questa domanda, come se fosse una buona notizia, la fornisce Claudio Risé nel suo ultimo libro Il Ritorno del Padre (Ed. San Paolo, 2022). Stiamo assistendo al riemergere del padre, reduce di un percorso di obnubilamento iniziato dagli anni ‘60 ’70 e che avuto negli anni recenti il massimo apicale. Scrive Risé: Attraverso il padre è stato lanciato un attacco in grande stile, che tutt’ora continua, al modo che l’umanità ha praticato fino a oggi per riprodursi, formarsi e vivere le relazioni e i legami tra le persone, i generi, le generazioni”. Risè, nel suo ultimo lavoro, sapientemente colloca la figura del padre all’interno di diversi coni prospettici, inquadrandola dal punto di vista dei movimenti sociali, delle relazioni uomo-donna, della struttura familiare, riuscendo, anche grazie al disinvolto uso della vasta conoscenza letteraria e psicodinamica padroneggiata, a dare ragione della solidità delle proprie argomentazioni. Scorrendo il libro, si può apprezzare la capacità di alternare profonde riflessioni psicologiche alle loro declinazioni in eventi di vita concreta e pubblica come quella del celebre cantante Bob Gedolf, o delle iniziative politiche avviate in questi anni per aiutare i padri separati o divorziati dalle varie istituzioni italiane. Il libro si organizza in sette capitoli ben organizzati tematicamente, che costruiscono un percorso attraverso il quale Risé ci accompagna, con cura e attenzione, attingendo a eventi di cronaca tanto quanto alle Sacre Scrittura, passando dai classici della psicologia agli studi scientifici di settore. Il pensiero dell’autore sul tema è stratificato da anni e anni di esperienza clinica e di studio specifico e la maturazione del pensiero si può notare nel solido impianto strutturale del libro che, pur rimanendo un’agile lettura, riesce a enucleare un messaggio univoco centrale, quello del “segno del padre”, come viene definito da Risé e, contemporaneamente a valutarne l’impatto sulla società, sulla vita familiare, sul benessere psicologico delle nuove generazioni.

Diventa quindi fondamentale, per il benessere dei singoli individui e della società tutta, riaffermare il valore insostituibile della paternità, proprio perché, come afferma Risé, è il padre che permette di adeguarsi alla norma del vivere sociale, è lui che ci aiuta a reggere il confronto del piano di realtà, ci insegna il valore del sacrificio, l’onore e la dignità del vivere e ci introduce nella società. Riaffermandone il valore e riconoscendone le caratteristiche possiamo cogliere meglio i segni del suo incedere, come quando si riconosce l’identità di un’intima persona dal rumore del suo scalpiccio mentre si avvicina.

In questa prospettiva, ci troviamo uniti, anche se con ruoli diversi come genitori, psicoterapeuti, insegnanti, creatori di cultura ed educatori e possiamo cogliere come i segni che vengono dalle storie narrate dalle serie tv, dalle nuove legislazioni familiari più eque e rispettose del ruolo del padre, dalla iniziative associative spontanee e dalle politiche familiari, siano sintomi importanti di un cambiamento già in corso, che, come il rumore di passi sul selciato, annunciano il ritorno del padre.

Marco Scicchitano
Psicologo Psicoterapeuta ITCI, Fondatore e responsabile LabGDR, Fondatore Progetto Pioneer

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