“L’illusione del narcisista. La malattia nella grande vita” (recensione di CATERINA CONTI)

di Giancarlo Dimaggio (2017) Baldini e Castoldi, pp. 202, Euro 16.00
recensione di Caterina Conti*

“Narcisismo”, “personalità narcisistica”, “disturbo narcisistico di personalità”. Linguaggio tecnico masticato dai clinici per riferirsi a una sindrome apparentemente complessa, sicuramente multiforme, che può avere dimora, con vari percorsi d’evoluzione, nelle vesti di pazienti a una prima vista diversi.
Giancarlo Dimaggio, nel suo saggio divulgativo edito da Baldini e Castoldi, preferisce parlare di “malattia nella grande vita” e chiarisce che il mito da cui la sindrome prende il nome condivide solo una delle sfumature che possiamo vedere attraverso il caleidoscopio. Vi troviamo l’attrazione all’isolamento, la “torre d’avorio”, che consente di sopravvivere e sospende la caduta, ma a caro prezzo. Sospensione, isolamento, caduta: sin da subito l’autore svela e ritrae la sofferenza del narcisista. La sicurezza, l’aria sprezzante, la luce e la grande vita che ne costituiscono i tratti “commerciali” sono maschera, corazza, costume di scena. Indispensabili, obbligati, necessaria medicina, come ben ci spiega l’autore. Il cuore della patologia sta nel vuoto, nella passività, nell’esperienza di essere evanescenti, paralizzati nell’assenza di slancio vitale: “Dietro la grandiosità l’abisso”.

Giancarlo Dimaggio disegna personaggi che calcano la scena del mondo interno del narcisista. Lo fa con sensibilità e acume clinico, e il sostegno di una scrittura agile ma densa, capace di farci vedere e sentire con pienezza il mondo interno del narcisista, il suo funzionamento, i comportamenti che da qui originano. L’autore stimola le riflessioni su possibili itinerari di costruzione della patologia e regala al lettore un epilogo di speranza, dando voce al gusto di riprendersi il diritto alla vita dopo un percorso di cura.
Il narcisista è descritto negli spazi e nei ruoli del suo quotidiano o, come spesso accade, ritirato da tempo in un limbo a sognare una vita che nella realtà batte un ritmo diverso e sempre più lontano.

Il saggio si dipana attraverso la voce di diversi attori, pazienti reali o immaginari, protagonisti di romanzi, film e serie televisive, visti attraverso la lente del clinico.
Emerge così l’esperienza interna del narcisista: il vuoto, l’incapacità di sentire che “un generatore di azione è attivo dentro di noi e ci spinge a desiderare, amare, sperare, curiosare”; la rabbia, necessaria quando si affaccia il rischio di cadere nel baratro e per difendersi dalla percepita minaccia alla propria autonomia; il terrore e la vergogna che caratterizzano l’esperienza dell’abisso, dove si vede il nome infangato, il corpo che si disfa, il paradiso perduto; la colpa, che prende forma dalla sensazione di aver danneggiato o derubato l’altro nell’atto stesso di desiderare; il senso di non appartenenza. Tra questi, lo stato grandioso; il narcisista vi transita per poco e per lo più prende la forma e il gusto del disprezzo, ottima strategia per mantenere chiare le gerarchie, regolare la distanza con l’altro e preservare la temuta vulnerabilità.

Gli stati mentali descritti sono rivisitati all’interno degli schemi che guidano l’azione. Attraverso quadri di vita quotidiana sapientemente dipinti, l’autore ci descrive cosa succede quando il narcisista agisce guidato da una spinta interna e autonoma, quando si muove in cerca di ammirazione o quando si attiva il bisogno di cure. Ci racconta come le sue rappresentazioni interne agiscano e generino l’alternarsi di stati mentali, in una danza disarmonica ma funzionale alla sopravvivenza psichica del narcisista; ora semi-dio o super-eroe, poi guerriero furente, bambino spaventato o fantasma senza più consistenza.
Nei tre capitoli centrali, attraverso personaggi-icone dello storytelling, emergono diverse tipologie di narcisismo, aspetti di una sindrome dalle svariate facce e sfumature: quello a “pelle spessa”, il tipo grandioso, arrogante, che esibisce le sue qualità, mostra disprezzo e si fa largo per prendersi ciò che gli spetta; quello a “pelle sottile”, segnato dalla passività, dall’invidia e dal rancore, che nutre in silenzio l’idea di essere speciale ma rinuncia al palco; e, ancora, il narcisismo insieme a tratti di machiavellismo e psicopatia, una triade caratterizzata da senso di superiorità, ricerca di potere ed eccitazione, assenza di empatia, astuta manipolazione.

L’autore utilizza l’accuratezza e i dettagli di uno sceneggiatore rapito nella costruzione del suo personaggio, con la curiosità clinica dello psicoterapeuta. Da questa posizione il saggio riesce a parlare a qualsiasi lettore vi si avvicini, con interesse o sospetto. Saggio divulgativo e non libro di tecnica terapeutica, come ci mette in guardia l’autore. Una cosa agli addetti ai lavori, apprendisti o esperti, tuttavia, va detta: attraverso una scrittura ricca di immagini, capace di farci toccare l’esperienza del narcisista, l’autore ci mette nella condizione di sperimentare l’esatta posizione dalla quale osservare la malattia della grande vita. E, non meno importante, l’alchimia di questo libro ricorda il senso e la bellezza del tempo passato a lavorare nella “bottega dello psicoterapeuta”.

* Caterina Conti (foto a destra). Psicologa, psicoterapeuta. Socia ordinaria SITCC (Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva), collaboratrice presso il Centro di Terapia Metacognitiva Interpersonale di Roma. Laureata con lode in Psicologia Clinica e di Comunità presso l’Università di Bologna. Consegue il Diploma di Specializzazione in Psicoterapia presso l’Istituto A.T. Beck (Roma). Dal 2006 al 2016 ha lavorato nell’ambito della riabilitazione psichiatrica maturando interesse nel trattamento dei disturbi di personalità. Svolge la libera professione anche a Cesena e presso il Centro Medico Santagostino di Bologna.

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