La terapia degli autori di violenza domestica oggi (di Delia Lenzi e Giancarlo Dimaggio)

Gerd Altmann da Pixabay

Da quando nell’Ottobre 2017 il movimento di denuncia #MeToo ha portato in primo piano il problema delle molestie sessuali e della violenza sulle donne, la comunità scientifica ha iniziato a interrogarsi su questioni precise: chi sono i maltrattanti, quali caratteristiche hanno, ma soprattutto, come possiamo curarli? Queste sono le due domande al centro di questo numero di Journal of Clinical Psychology: In session (JCLP, Issue 1, 2022), curato da Jessica Yakeley.

Il problema fin da subito evidente, secondo Yakeley, è che a oggi le terapie più gettonate e diffuse per curare chi maltratta non sono supportate da studi di efficacia a loro sostegno. Erano ispirate alla cultura femminista, come il famoso programma Duluth, nato in Stati Uniti nei primi anni 80, per il quale la violenza sulle donne è un problema legato principalmente alla cultura patriarcale in cui l’uomo si aspetta di avere il pieno diritto del controllo sulla propria partner. Il programma Duluth utilizzava tecniche psicoeducazionali e cognitivo comportamentali per modificare le credenze senza distinguere per caratteristiche del maltrattante.

Partendo dal dato della scarsa efficacia di tale programma, e dalla forte necessità di porre rimedio alla carenza di terapie che fossero efficaci con i perpetratori di violenza domestica, in questo numero del  JCLP vengono proposti cinque diversi e innovativi interventi terapeutici, esposti in altrettanti articoli, per curare le persone che si comportano con violenza nelle relazioni intime (perpetrators of intimate partner violence – P-IPV). Ogni intervento è descritto attraverso un caso clinico.

Nel primo intervento proposto, Satyanarayana e Krishnamachari (2022) ci descrivono un programma terapeutico cognitivo-comportamentale integrato con aspetti interpersonali per uomini maltrattanti con dipendenza da alcol (Integrated Cognitive-Behavioural Intervention -ICBI). In India l’abuso di alcol è un problema molto diffuso ed è spesso il fattore precipitante l’IPV. Già risultato efficace in un trial controllato (riduzione significative di IPV, Satyanarayana et al. 2016), l’ICBI prevede otto incontri che includono tecniche di psicoeducazione, analisi di episodi di aggressione domestica con tecnica dell’A-B-C, analisi degli eventi di violenza con la “Interpersonal Incident Analysis”, identificazione delle credenze patologiche, lavoro sulle skills comunicative interpersonali e management dell’abuso di alcol.

Nell’articolo successivo, Gibbs et al. ci presentano un protocollo d’intervento, lo Stepping Stones and Creating Futures (SSFC), sperimentato in Sud Africa, dove il problema della violenza domestica è terribilmente diffuso, esasperato dalla disoccupazione, dalla povertà e da una società fortemente patriarcale che avalla l’utilizzo della violenza nelle relazioni intime. Il SSFC è un programma per gruppi di uomini (10-20 ca), di 21 sedute in totale, guidate da un facilitatore. Il protocollo del SSFC prevede attività finalizzate allo sviluppo delle capacità comunicative interpersonali attraverso la creazione di spazi sociali sicuri dove promuovere la condivisione e la gestione delle emozioni e la trasformazione delle credenze sulla mascolinità. All’interno del programma sono anche previste specifiche sezioni dedicate alla ricerca, all’identificazione e al mantenimento del lavoro.

Diverso l’approccio terapeutico di Misso et al. dove si propone la Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) per il trattamento di un caso di P-IPV. La TMI aveva già generato buoni outcome in un primo studio controllato di caso singolo (Pasetto et al. 2021). La TMI è una terapia basata su una serie di passi formalizzati, che ha come centralità la formulazione condivisa del funzionamento del paziente e prevede l’utilizzo di tecniche immaginative e corporee, essenziali per promuovere il cambiamento nel paziente a livello cognitivo, affettivo e comportamentale e per potenziare la regolazione emotiva. Come descritto nel caso clinico esposto, centrale è portare il paziente a soffermarsi sui momenti antecedenti l’episodio di violenza, per far comprendere come in quel momento le aspettative abusanti e umilianti legate al suo passato traumatico siano ancora attive nel presente e guidino la lettura della sua vita relazionale portandolo a mettere in atto l’aggressione verso l’altro.

Tuttavia, ci suggerisce Damian McCann nel successivo articolo sulla Mentalization- Based Couple Therapy (MBT-CT), approcci terapeutici individuali o di gruppo, come quelli fin d’ora esposti, potrebbero avere dei limiti quando andiamo a trattare patologie con una forte componente relazionale, come nella IPV. La MBT-CT è un a terapia di coppia di derivazione psicoanalitica, basata sull’attaccamento e sulla mentalizzazione, nella quale il terapeuta ha il compito di costruire un setting terapeutico sicuro all’interno del quale favorire le capacità di regolazione delle emozioni nelle coppia. Nelle sedute il terapeuta attivamente aiuta la coppia a interrompere la progressione della disregolazione emotiva e a ritornare al punto dove la capacità di pensare lucidamente era collassata.

Infine, nel successivo e ultimo intervento, Kerry Beckley ci presenta un caso clinico di un P-IPV trattato con la Schema Therapy (ST). La ST è una terapia nella quale si integrano aspetti cognitivi, psicodinamici e corporei.  Nella ST, una volta identificato lo schema maladattivo, si utilizzano tecniche immaginative per promuovere la differenziazione e il cambiamento. Nel caso esposto, l’identificazione del bisogno infantile non corrisposto ha permesso di spiegare la paura dell’abbandono, del rifiuto e la sensazione di mancanza di valore e inamabilità e quindi di umiliazione (schema del bambino vulnerabile), stati dolorosi ancora presenti che il paziente aveva imparato a gestire con l’aggressività.

I modelli esposti sono apparentemente molto diversi ma in realtà, se analizzati bene, sono accomunati dalla presenza di integrazione di tecniche e modelli all’interno di ognuno di essi. Questo sembra essere un segnale di evoluzione e di adattamento della psicoterapia, che ben si presta, come nel caso del SSFC e del ICBI, a mettere davanti al bisogno di dimostrare l’efficacia di un singolo modello e di una corrente, quello di trovare interventi efficaci, flessibili e adattabili ai diversi contesti. Una flessibilità necessaria, per esempio, in contesti di povertà, abuso di sostanze, disoccupazione e di risorse a disposizione limitate.

È altresì importante, nel caso delle terapie individuali come quelle proposte dalla TMI, dalla ST e dalla MBT-CT, la capacità di modulare l’intervento a seconda delle caratteristiche del P-IPV, e quindi la necessità di individuare i sottotipi di P-PIV che, è bene sottolineare, non si assimilano a un genere né a un orientamento sessuale.

Numerosi studi sembrano convergere nell’identificare tre principali profili di maltrattante (Holtzworth-Munroe and Stuart et al. 1994; Johnson et al. 1994; Yakeley 2022): il maltrattante solo-familiare, con bassa psicopatologia e nessun precedente criminale, il borderline-disforico, instabile emotivamente e con grandi difficoltà relazionali e infine il violento antisociale, con o senza disregolazione emotiva. Esiste una stretta correlazione tra Disturbi di Personalità e gravità della IPV: i tratti di disturbo personalità dei maltrattanti sembrano essere tendenzialmente meno marcati nel primo gruppo (solo-familiare), di tipo passivo-aggressivo-border/impulsivo nel secondo ed antisociale-narcisistico nel terzo (Hamberger et al .1996; Tweed e Dutton 1998).

Anche la teoria dell’attaccamento, osserva Yakeley (2022) è una cornice teorica in grado di spiegare parte del funzionamento del P-IPV: alcuni studi dimostrano che un attaccamento ansioso è predittivo di IPV (Velotti et al. 2018; Fournier et al. 2011), come anche la complementarità degli stili di attaccamento nella coppia, come nel caso in cui ambedue i partner hanno uno stile ansioso o uno dei due richiedente-ansioso e l’altro distanziante, con tendenza a evitare l’intimità (Park et al. 2016; Velotti 2018). Rispetto al modello di Holtzworth-Munroe e Stuart (1994) l’attaccamento è sicuro o preoccupato nel gruppo meno grave in termini di disturbo di personalità (solo-familiare), preoccupato nel secondo disforico-borderline e distanziante nel gruppo antisociale.

Yakeley ci suggerisce che le implicazioni cliniche suggerite dai cinque interventi proposti in questo numero del JCLP sono principalmente quattro: primo, esprimono il segnale che c’è necessità e urgenza di differenziare da un lato gli P-IPV che hanno psicopatologia di personalità meno grave e agiscono violenza solo all’interno della coppia e dall’altro dai tipi antisociale e disforico-borderline che hanno livelli di gravità maggiori. Tale differenziazione potrebbe servire nel processo decisionale sul tipo di trattamento e per aumentare la probabilità di successo terapeutico. Il secondo punto è la necessità di valutare in fase pre-trattamento la motivazione del paziente e anche di intervenire in questa fase su alcuni fattori di rischio predisponenti all’IPV come l’abuso di alcol (Srinivasan and Satyanarayana 2021). Il terzo punto è l’importanza di identificare le caratteristiche, se presenti, dei disturbi di personalità dei maltrattanti, elemento sul quale si focalizza la TMI (Misso et al. 2022; Pasetto et al. 2021). Ricordiamo che la TMI ha già dato ripetute prove di efficacia nei disturbi di personalità in generale (Dimaggio et al. 2017; Popolo et al. 2021) e quindi la sua applicazione ai perpetratori di violenza domestica appare giustificata.

Nondimeno importante è la valutazione dello stile di attaccamento del P-IPV e del rispettivo partner al fine di comprendere il funzionamento sia del paziente che della coppia, così da potere adattare in modo coerente la psicoterapia.

Ricordiamo però che l’attaccamento non è l’unica motivazione in gioco ad essere alla base dei comportamenti di violenza domesstica: anche i sistemi agonistico e dell’autonomia sembrano coinvolti (Dimaggio et al.  2020; Misso et al. 2022; Pasetto et al. 2021).

In generale, tutti gli autori di questo numero sembrano incontrarsi nel sostenere l’importanza della cura della relazione terapeutica, della regolazione delle emozioni, delle esperienze di sviluppo traumatiche infantili, ma anche del ruolo centrale delle competenze metacognitive e dell’uso di un contratto di non-violenza durante il trattamento.

Abbiamo quindi disponibili diversi modelli di trattamento che sembrano dare ottime prospettive di efficacia, adattabili a diversi contesti e alle caratteristiche dei maltrattanti. Questo numero del JCLP, sapientemente concepito da Yakeley, è un’apertura e un invito al dibattito necessari per sviluppare interventi che si possano sostituire a quelli, come il programma Duluth, non dimostratosi efficaci. Ognuno dei cinque articoli ci mostra come questa strada si possa percorrere, e si debba, attraverso la ricerca empirica, trovare soluzioni terapeutiche empiricamente validate. La società ne ha urgentemente bisogno per contrastare il problema della violenza nelle relazioni intime.

Delia Lenzi, Neurologo e Psicoterapeuta, Centro di Terapia Metacognitiva Interpersonale di Roma
Giancarlo Dimaggio, Psichiatra e Psicoterapeuta, co-fondatore del Centro di Terapia Metacognitiva Interpersonale di Roma

  

Bibliografia

Beckley, K. (2022). Schema chemistry: An interpersonal framework for making

sense of intimate partner violence. Journal of Clinical Psychology, 78, 38–49.

Dimaggio, G., Salvatore, G., MacBeth, A. et al. (2017). Metacognitive Interpersonal Therapy for Personality Disorders: A Case Study Series. J Contemp Psychother 47, 11–21

Gibbs, A., Mkhwanazi, S., & Sikweyiya, Y. (2022). Stepping Stones and Creating

Futures: A group‐based approach to addressing violence against women through working with men. Journal of Clinical Psychology, 78, 26–37.

McCann, D. (2022). Thinking under fire: Mentalization‐based couple therapy for high conflict and domestically abusive couples’. Journal of Clinical Psychology, 78, 67–79.

Misso, D., Velotti, P., Pasetto, A., & Dimaggio, G. (2022). Treating intimate partner

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Pasetto, A., Misso, D., Velotti, P., Dimaggio, G. (2020). Metacognitive Interpersonal Therapy for Intimate Partner Violence: A Single Case Study. Partner Abuse, Vol 12 Issue 1.

Popolo R, MacBeth A, Lazzerini L, Brunello S, Venturelli G, Rebecchi D, Morales MF, Dimaggio G. (2021). Metacognitive interpersonal therapy in group versus TAU + waiting list for young adults with personality disorders: Randomized clinical trial. Personal Disord. Aug 12.

Satyanarayana, V. A., Krishnamachari, S. (2022). Integrated cognitive behavioral

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Velotti, P., Beomonte Zobel, S., Rogier, G., & Tambelli, R. (2018). Exploring relationships: A systematic review on intimate partner violence and attachment. Frontiers in Psychology, 9, 1166.

Yakeley, J. (2022). The search for tailored treatments: Discussion of five interventions for perpetrators of intimate partner violence. Journal of Clinical Psychology, 78, 80–98.

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