Dalle emozioni ai significati. Attaccamento e sessualità integrati e orientati alla realizzazione di valori. Riprendendo gli articoli di Shane, Shane e Gale (1999) e Liotti (1999) (di Emiliano LAMBIASE)

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Dalle emozioni ai significati. Attaccamento e sessualità integrati e orientati alla realizzazione di valori. Riprendendo gli articoli di Shane, Shane e Gale (1999) e Liotti (1999)
Alcune riflessioni di Emiliano Lambiase
Psicologo e Psicoterapeuta, Coordinatore Istituto di Terapia Cognitivo-Interpersonale

Sono passati ormai vent’anni dalla prima volta che lessi gli articoli di Shane, Shane e Gales (1999) e di Liotti (1999). A suo tempo furono due pietre miliari del mio modo di comprendere l’integrazione tra affettività e sessualità, uno dei miei principali ambiti di studio e di lavoro clinico ed educativo.

Nel tempo, con mio grande dispiacere, sebbene la citazione di quelle opere abbia continuato a essere presente nelle mie pubblicazioni, la rivista telematica che le ospitava aveva cessato di esistere, non rendendo più possibile a nessuno la lettura degli articoli originali.

Recentemente, in occasione del cambiamento di sede dell’Istituto di formazione presso il quale lavoro, l’Istituto di Terapia Cognitivo Interpersonale, ho deciso di controllare uno per uno i documenti presenti nella mia stanza, ritrovando così tantissime cose, tra le quali una stampa degli articoli citati.

Insieme all’amico Antonio Onofri abbiamo deciso di ripubblicare questi due articoli, aggiungendo riflessioni e aggiornamenti frutto dei venti anni trascorsi. Ho accolto l’invito a scrivere questo contributo con piacere e timore perché mi sono formato studiando le opere di Liotti, affascinato dalla sua teoria e dal suo modo si spiegare, dopo aver partecipato a una sola sua lezione presso la mia scuola di specializzazione. E, ancora oggi il cognitivismo-evoluzionista è, per me, un punto di riferimento teorico e clinico fondamentale. L’idea di condividere questo contributo perso di Liotti, e di integrarlo con conoscenze acquisite negli anni successivi, mi emoziona.

Nel suo breve ma denso articolo Liotti, facendo riferimento al contributo di Shane, Shane e Gales (1999), inizia evidenziando i seguenti punti:

  • «il raccordo, che i coniugi Shane e la Gales propongono, fra pattern di attaccamento e tipi di esperienza sessuale, è illuminante e profondamente condivisibile in termini di teoria clinica delle disfunzioni sessuali»;
  • afferma inoltre che non è tanto o direttamente il singolo Modello Operativo Interno (MOI) di un attaccamento precoce del paziente a influenzare la relazione amorosa, quanto il funzionamento del sistema di attaccamento nella relazione.

Si fa quindi una domanda che lascia aperta: che rapporto esiste tra i Modelli Operativi Interni delle prime relazioni di attaccamento e quelli implicati in relazioni d’attaccamento successive?

Fa poi un’altra riflessione seguita da un’altra domanda. Partendo dalla convinzione che il sistema di attaccamento influisca su ogni relazione umana, e non solo in quelle caratterizzate dalla cura, si chiede «come possiamo concettualizzare queste implicazioni dell’attaccamento nelle diverse relazioni umane? Gli autori ci hanno offerto alcuni spunti di riflessione sull’argomento, che suggeriscono che il sovrasistema mentale destinato a mediare fra attaccamento e forme diverse di intersoggettività sia il sé, considerato nella sua dimensione di coesione o frammentazione. Forse sarebbe possibile elaborare e approfondire questo argomento».

Proviamo a rispondere a queste domande:

Che rapporto esiste tra i Modelli Operativi Interni delle prime relazioni di attaccamento e quelli implicati in relazioni d’attaccamento successive?

Il rapporto tra il modello di attaccamento infantile e quello adulto inizia fin dall’infanzia, tramite il legame che si instaura tra il sistema di attaccamento e gli altri sistemi motivazionali fin dalla più tenera età.

In primo luogo, come afferma lo stesso Liotti (2005) l’esperienza delle prime interazioni di richiesta/offerta di cura costituirebbe il primo e principale passo capace di indirizzare lo sviluppo successivo della capacità di regolare tutte le emozioni vissute durante l’attivazione degli altri Sistemi Motivazionali Interpersonali (SMI). In pratica, il sistema dell’attaccamento e i modelli operativi interni che ne controllano l’attività svolgerebbero un ruolo del tutto particolare e centrale nella regolazione tanto delle emozioni proprie al sistema, quanto di quelle degli altri SMI.

Il ruolo centrale dell’attaccamento nella regolazione di tutte le emozioni dipende principalmente da due fattori (Liotti 2005). Quello dell’attaccamento è il primo sistema motivazionale interpersonale a mettere i bambini in contatto con altri significativi, in momenti di emotività intensa, allarmata o dolorosa ed è, dunque, all’interno di queste interazioni che un adulto può iniziare a indicare ai bambini il significato delle emozioni e delle sensazioni corporee che si producono in loro. Se le prime strutture cognitive riguardanti la vita emozionale sono sviluppate all’interno di matrici interpersonali mediate dall’attaccamento, quelle che si svilupperanno successivamente, nel corso dell’attivazione di altri SMI, dovranno presumibilmente essere confrontate con queste più antiche. Il secondo motivo è che tutte le emozioni dolorose che verranno sperimentate in seguito, collegate ad altri sistemi motivazionali, attiveranno il sistema dell’attaccamento ed i modelli operativi interni a esso collegati.

Per quanto riguarda il rapporto tra il sistema dell’attaccamento e quello sessuale, la storia del loro legame inizia molto presto. Infatti, pur essendo due distinti sistemi motivazionali con obiettivi propri, si influenzano a vicenda a vari livelli, sostenendo reciprocamente la realizzazione dei rispettivi obiettivi (Birnbaum e Gillath 2006; Dewitte 2012; Mikulincer e Shaver 2016; Birnbaum 2014, 2015, 2016, 2018; Birnbaum, Mizrahi, Reis 2019; Gillath et al. 2008; Birnbaum e Finkel 2015; Birnbaum e Reis 2019; Cacioppo et al. 2012).

Ci sono prove che dal primo anno di vita il piacere sensuale e l’eccitazione sessuale appaiono e si esprimono attraverso forme di attivazione genitale e di piacevole gioco con i genitali (Kleeman 1975; Wolff 1966).

Successivamente, a partire dal secondo anno di vita, c’è un cambio di qualità nella curiosità sessuale e nell’autostimolazione (Lieberman 1996; Mahler, Pine, Bergman 1975; Roiphe e Galenson 1981). Emerge, infatti, un senso di interesse per le differenze genitali tra maschi e femmine, e tra sé e i propri genitori. Dall’osservazione clinica sembra che in questo periodo l’aggressività e la sessualità emergano come sistemi motivazionali separati, che intervengono nell’organizzazione del funzionamento comportamentale e mentale, tramite l’aggiunta di nuove dimensioni al senso emergente di sé del bambino.

Facendo riferimento al rapporto che i bambini in questa fase della vita possono avere con la sessualità, alcune formulazioni teoriche tendono a distinguere l’eccitazione somatica dall’impulso sessuale. Dice Lichtenstein (1961): «Esiste un’innata capacità di responsività fisica, una capacità di rispondere al contatto con un’altra persona, con uno specifico tipo di eccitazione somatica che non è impulso perché non ha direzione, ma che è un innato prerequisito per il successivo sviluppo di un impulso. Possiamo chiamare “sessuale” questa responsività solamente perché è la matrice per il successivo sviluppo sessuale». A tal proposito Holmes (2007) propone il concetto di “intersoggettività edonica”, come il centro di esperienze fisiche sensuali, giocose, piacevoli e fonte di autoaffermazione che comprendono, costituiscono e cementano gli attaccamenti passionali nell’infanzia e, successivamente, anche nell’età adulta.

Le abilità metacognitive del genitore, e il modo in cui le utilizza nel rapporto con il figlio, sono tra i fattori principali che influenzano lo sviluppo dello stile di attaccamento del figlio. Maggiore è la capacità di un genitore di pensare la mente dell’altro, più è probabile che il bambino sviluppi uno stato mentale sicuro rispetto alla relazione di attaccamento. A partire da questa concettualizzazione, si apre uno spazio per includere le fantasie e la sessualità come un modo per modellare la stimolazione corporea, ora sperimentata non come parte dell’ambiente, ma come parte di sé: tanto più il genitore riesce a mettere in relazione la propria mente con quella del figlio nel corso delle dinamiche di attaccamento-accudimento, tanto più si svilupperanno anche le abilità metacognitive del figlio e si apriranno nella sua mente degli spazi mentali nei quali iniziare a pensare e padroneggiare le relazioni e i propri stati mentali, inclusi quelli che riguardano la sessualità.

In questo modo sessualità e attaccamento divengono inevitabilmente parte di una matrice bidirezionale i cui parametri si spostano al fine di trovare il miglior compromesso possibile tra sicurezza e piacere. Inoltre, la relazione di attaccamento lascia una traccia permanente nell’esperienza fisica del piacere e dell’ansia, influenzando lo sviluppo futuro delle future fantasie sessuali (Weinstein 2007).

Quindi il legame tra sessualità e attaccamento appare strettamente reciproco e bidirezionale fin dai primi anni di vita. Secondo Holmes (2007) la sequenza di sviluppo è da (a) un’interazione sicura, giocosa e psicofisicamente e mutuamente mentalizzante, a (b) una generale competenza immaginativa fino a (c) la capacità di immaginare interazioni erotiche (nelle quali avranno inevitabile influenza i Modelli Operativi Interni dell’attaccamento e la loro interazione con gli altri SMI).

Nell’adolescenza, periodo che va circa dai dodici ai venticinque anni, si attiva, poi, anche il sistema motivazionale sessuale e si devono sviluppare strategie di integrazione che permettano di trovare soluzioni a diverse spinte motivazionali. Le esistenti strategie di autoprotezione e di ricerca di protezione dagli altri devono essere riorganizzate, vanno costruite strategie sessuali e queste devono essere integrate in modi che permettano di instaurare una varietà di relazioni di attaccamento che possano coesistere e sostenersi tra di loro. Nella media e tarda adolescenza anche un amico può divenire oggetto di desiderio sessuale: questo crea un nuovo modo di sperimentare l’intimità e di esprimere l’affettività ed offre, inoltre, nuovi incentivi per mantenere le relazioni nonostante periodi di stress. Il desiderio sessuale, inoltre, garantisce nuovi modi per cercare conforto e ridurre l’attivazione emotiva. Se non siamo in grado di integrare le diverse spinte motivazionali che fanno parte di una relazione intima adulta (attaccamento, accudimento e sessualità) possiamo arrivare a frammentarle cercando soddisfazione in relazioni differenti o in modalità disfunzionali (Crittenden 2002).

Per alcuni adolescenti non particolarmente disturbati, il desiderio sessuale fornisce una forte motivazione a migliorarsi e a riorganizzare l’espressione dei sistemi motivazionali precedenti (Crittenden 2002). Altri, invece, confondono la soddisfazione sessuale con la ricerca di conforto e mettono in atto comportamenti sessuali frequenti o non sicuri al fine di ridurre l’ansia cronica. Altri ancora utilizzano l’essere sessualmente precoci o promiscui come una strategia per interrompere l’isolamento della loro infanzia, oppure accondiscendono alle richieste sessuali degli altri per assicurarsi la loro accettazione. È importante evidenziare che, così come può nascere confusione fra comportamento sessuale e ricerca di conforto (sessualità e attaccamento), lo stesso può avvenire con sesso ed aggressività (sessualità e competizione): l’aggressività può così essere espressa sessualmente, ed essere confusa da entrambi i partner con l’amore.

La rabbia e la lotta possono essere strettamente legate all’amore e al sesso. D’altro canto, siccome gli uomini desiderano così intensamente il sesso, alcune ragazze scoprono che possono utilizzare favori sessuali con scopi manipolativi, evitando così modalità più dirette di raggiungere i propri obiettivi. Non sorprendentemente queste due distorsioni spesso viaggiano insieme, legando le coppie in relazioni confuse e che si autoalimentano in un alternarsi di amore/odio.

Pochi adolescenti sono preparati a queste sfide e, come sottolinea anche l’Autrice, sono coloro che vivono minori soddisfazioni anche in altri ambiti della propria vita a correre maggiormente il rischio di utilizzare la sessualità con modalità distorte. Psicologicamente, c’è il rischio di confondere gli stati affettivi e che la propria identità risulti definita troppo strettamente da che cosa uno dia o riceva sessualmente.

Un’altra abilità importante da dover sviluppare è quella di riuscire a integrare le motivazioni che ci legano al nostro partner con quelle che ci spingono a conoscerne altri. Infatti, affinché qualcuno divenga una figura di attaccamento è necessario che divenga familiare e abbia un comportamento prevedibile. Non ci si lega, in teoria, ad una persona percepita come imprevedibile o ancora sconosciuta. D’altra parte, sembra che l’eccitazione sessuale venga ridotta dalla familiarità e dalla prevedibilità e sia invece intensificata dalle novità, dalla non familiarità e dalla diversità (Eagle 2005).

Esistono poi differenze rilevanti tra l’attaccamento dell’adulto e quello dei bambini. In primo luogo, gli attaccamenti dell’infanzia sono tipicamente complementari, vale a dire che la figura di attaccamento offre cure ma non ne riceve, mentre il bambino ricerca ma non offre sicurezza (Cassidy e Shaver 1999). Al contrario, l’attaccamento adulto è tipicamente reciproco: entrambi i partner offrono e ricevono protezione scambievolmente. Una seconda differenza consiste nel fatto che nell’età adulta la figura di attaccamento è un pari e, spesso, anche un partner sessuale. La forma più tipica di attaccamento adulto implica quindi l’integrazione tra diversi SMI: attaccamento, accudimento e sessualità (Shaver e Hazan 1992; Mikulincer e Goodman 2006). Va inoltre sottolineato che spesso uno dei motivi che stimolano la ricerca del contatto in età adulta, per lo meno agli inizi della relazione, è l’attrazione sessuale (Weiss 1982; Shaver, Hazan, Bradshaw 1988; Tombolini e Liotti 2000).

La costruzione di una relazione che possa divenire un legame di attaccamento inizia, probabilmente, con un forte desiderio di vicinanza. Mentre nell’infanzia la ricerca di vicinanza è dettata principalmente dalla paura (sebbene il bambino si avvicini alla madre anche per condividere scoperte piacevoli e per sollecitare apprezzamento per la propria riuscita), gli adulti possono cercare il contatto per attrazione interpersonale o interesse sessuale. Tuttavia, se all’inizio della relazione l’attrazione e la passione sessuale sono requisiti fondamentali della soddisfazione, alcuni anni dopo diviene più importante la capacità dei partner di offrire conforto e prendersi cura dell’altro. L’attrazione reciproca e l’interesse sessuale possono dare luogo alla formazione della coppia ma, se i partner non riescono a soddisfare reciprocamente i bisogni di conforto e di sicurezza, subentrerà, prima o poi, un senso di insoddisfazione (Shaver e Hazan 1992).

In questo tempo avviene l’integrazione tra modelli operativi interni dell’infanzia e quelli di una relaziona intima adulta caratterizzata dall’interazione e integrazione tra attaccamento, accudimento e sessualità. D’altro canto, sappiamo che i momenti di maggior funzionamento metacognitivo sono quelli nei quali è attivo il sistema cooperativo (Manaresi et al. 2008), e quelli in cui il sistema di accudimento soddisfa i bisogni del sistema di attaccamento lasciando quindi libera la mente dalla pressione di emozioni e bisogni di altri sistemi motivazionali (Gilbert e Irons 2005). Sebbene, quindi, per un trasferimento dei MOI di attaccamento alla relazione romantica adulta sia necessaria un’adeguata e flessibile integrazione dei sistemi motivazionali dell’attaccamento, dell’accudimento e sessuale, risulta anche essere necessario un sufficiente sviluppo del sistema cooperativo, al fine di riuscire ad avere l’atteggiamento e le abilità metacognitive necessari per operare questa integrazione.

Nel corso degli anni il rapporto tra lo stile di attaccamento dell’infanzia, da una parte, e lo stile di attaccamento adulto e la sessualità in età adulta, dall’altra, è stato studiato in molti ambiti e direzioni:

  • identificando le modalità comportamentali e gli obiettivi sessuali perseguiti in funzione dello stile di attaccamento adulto (Lambiase e Cantelmi 2015; Birnbaum 2016; Mikulincer e Shaver 2016)[1];
  • nel rapporto tra come lo stile di attaccamento adulto e il sistema sessuale influiscano nella qualità del rapporto di coppia (Birnbaum 2010; Birnbaum e Reis 2019; Birnbaum et al. 2006);
  • nel modo con il quale lo stile di attaccamento adulto può influenzare le relazioni extradiadiche, al fine di cercare relazioni di attaccamento sicuro in relazioni non stabili, come forma di compensazione all’insicurezza sperimentata nelle relazioni stabili (Allen e Baucom 2004);
  • nel modo con il quale il rapporto tra stile di attaccamento e il comportamento sessuale si manifesta nelle fantasie sessuali (Birnbaum 2007; Birnbaum, Mikulincer e Gillath 2011; Birnbaum et al. 2008, 2012, 2019);
  • e, infine, nel modo con il quale i sistemi di attaccamento, accudimento e sessuale si influenzano reciprocamente per contribuire alla soddisfazione o all’insoddisfazione di coppia (Farrugia e Hohaus 1998; Mikulincer 2006; Péloquin et al. 2013).

Come possiamo concettualizzare queste implicazioni dell’attaccamento nelle diverse relazioni umane? Gli autori ci hanno offerto alcuni spunti di riflessione sull’argomento, che suggeriscono che il sovrasistema mentale destinato a mediare fra attaccamento e forme diverse di intersoggettività sia il sé, considerato nella sua dimensione di coesione o frammentazione.

A mio avviso, “il sovrasistema mentale destinato a mediare fra attaccamento e forme diverse di intersoggettività” è la coscienza, così come spiegato dallo stesso Liotti in La dimensione interpersonale della coscienza (Liotti 2005), da cui mi limito a fare una brevissima sintesi presa dagli stessi concetti spiegati dall’Autore.

Due delle principali teorie neurobiologiche della coscienza sono state elaborate da Edelman (Edelman 1989; Edelman e Tononi, 2000) e da Damasio (1999, 2003, 2010). I due scienziati descrivono un primo livello di coscienza definita “primaria” (Edelman) o “nucleare” (Damasio). La coscienza primaria di Edelman precede il linguaggio e si esprime sostanzialmente nell’emozione. L’emozione connette l’individuo al mondo in maniera immediata, senza che fra senso di sé e mondo si stabilisca la contrapposizione netta operata da quell’aspetto della memoria autobiografica, che è mediato dal pensiero verbale. Damasio è ancora più categorico di Edelman nel descrivere le basi neurologiche di un livello di coscienza che si esprime sostanzialmente nell’esperienza soggettiva dell’emozione e del sentimento, e che è indipendente dal linguaggio. Questa coscienza nucleare è, per Damasio, il fondamento dell’esperienza soggettiva. Ad analoghe conclusioni giunge l’indagine psicologica che Stern (1985) ha condotto sul senso di sé nei primi due anni di vita: egli denomina «nucleare» e «intersoggettivo» il senso di sé del bambino, prima che schema corporeo e linguaggio lo dotino della capacità di contrapporre sé al mondo, e ritiene che questi tipi di esperienza di sé, differenti e primari, restino operanti e si pongano a base di ogni altro tipo di esperienza cosciente, per tutta la vita. La ricerca psicologica basata sul concetto di monitoraggio metacognitivo (Flavell 1979; Main 1991) suggerisce anch’essa, pur su basi assai diverse rispetto alle neuroscienze e alla psicologia dello sviluppo di Stern, l’esistenza di un’esperienza cosciente indipendente dalle rappresentazioni di sé fornite dai sistemi di memoria che si fondano sul linguaggio (memoria semantica, episodica o autobiografica). Il monitoraggio metacognitivo si presenta come un continuo scandaglio dell’attenzione, in sé stesso non costituito ancora da «parola interiorizzata», su quel che si dice agli altri e a sé stessi. È interessante notare che tanto il senso di sé nella prima infanzia quanto i processi metacognitivi dell’adulto, incluso il monitoraggio metacognitivo, risentono ampiamente delle relazioni passate e in corso (Fonagy, et al. 1995; Main 1991). Sembra dunque che la coscienza possa operare tanto a un livello che precede l’esperienza discorsiva di sé (coscienza primaria o nucleare) quanto a un livello che lo segue: a entrambi i livelli la coscienza opera in stretta dipendenza dalla qualità delle relazioni in corso.

Coscienza di ordine superiore e sistemi motivazionali

I valori evoluzionistici collegati alle mete adattive (riproduzione genetica, protezione dai pericoli, coesione del gruppo e così via) e le regole di condotta dei vari sistemi motivazionali interpersonali non sono rappresentati direttamente nella coscienza, mentre tali sistemi operano: l’acquisirne coscienza richiede una mediazione culturale complessa: operano in parallelo nella coscienza primaria, ma non entrano automaticamente nel flusso sequenziale della consapevolezza.

Le prime fasi delle operazioni dei SMI che tendono a divenire immediatamente coscienti sono le emozioni. Le analisi neurofisiologiche di Damasio (1999), LeDoux (2002) e di Panksepp (1998, 2001) offrono un importante sostegno alla tesi di Bowlby che considera le emozioni come le prime fasi dell’operare dei sistemi motivazionali che possono acquisire le qualità della coscienza.

Nell’uomo, il costituirsi di un sé sociale mediato dal linguaggio e che si confronta col non-sé sociale, sarebbe, secondo Edelman, il fondamento di una coscienza di ordine superiore che si innesta su quella primaria, emozionale. La coscienza di ordine superiore, tipicamente umana, permette di concepire passato e futuro. In essa, le regole inconsce dei vari sistemi motivazionali sociali, che fondano la possibilità stessa della coscienza primaria, possono finalmente acquisire piena rappresentazione, attraverso la cultura che il linguaggio veicola.

La coscienza di ordine superiore si fonda pertanto sull’esperienza emotiva, che diviene consapevole e sulla capacità di esprimere in forma di dialogo interiore tale consapevolezza.

La coscienza di ordine superiore, pertanto, permette di ordinare il valore dei diversi sistemi motivazionali di secondo (il cui valore è di tipo evoluzionistico, emotivamente radicato e che condividiamo con altri animali) e di terzo livello (il cui valore è anche esistenziale, sono guidati dalla saggezza e dalla consapevolezza e sono unicamente umani), e permette di scegliere indipendentemente dalle emozioni. Questo è il passaggio evolutivo, esclusivamente umano, che permette di passare da una vita guidata dalle emozioni a una vita orientata alla realizzazione di progetti, al centro dei quali ci sono i valori.

Coscienza e responsabilità

La coscienza riguarda non solo cose ed eventi del mondo o memorie del passato personale, ma anche azioni, piani e intenzioni dell’individuo.

Nonostante molti disaccordi su aspetti e caratteristiche della coscienza, sembra esserci un accordo, pressoché unanime, sulla sua intenzionalità. La coscienza è intenzionale, nel senso che è referenziale, cioè ha come riferimento una realtà diversa da se stessa. La coscienza esibisce intenzionalità in quanto contiene continuamente rappresentazioni di qualcosa che è altro da sé. L’intenzionalità che caratterizza la coscienza, essendo di natura referenziale, non coincide con la comune idea di decisione o di scelta consapevole fra due o più piani di azione. Tuttavia, l’intenzionalità della coscienza si rivela pienamente proprio nell’atto della scelta razionale e deliberata (Dennett 2003; Searle 2001).

Occuparsi della coscienza, allora, implica occuparsi anche dei valori sulla base dei quali le scelte vengono compiute (Liotti 2005).

La selezione dei segnali, che dalla simultanea elaborazione inconscia entreranno nella sequenzialità della coscienza, opera almeno all’inizio della vita sullo sfondo di sistemi di valori ereditati e determinati evoluzionisticamente. A questi valori potranno poi aggiungersene altri, sviluppatisi nell’interazione fra l’io autocosciente e il suo mondo. È a questo livello che si situa la possibilità di indagare i rapporti fra responsabilità individuale legata alla coscienza, da una parte, e natura intrinsecamente relazionale della coscienza, dall’altra.

Sulla base della coscienza ricorsiva dei valori che fondano la selezione delle esperienze coscienti, è infine possibile considerare la dimensione della responsabilità e della libertà individuale nel contesto della relazione fra sé e il mondo da cui la coscienza continuamente emerge. È responsabilità della persona riflettere sui sistemi di valori che regolano la sua condotta e determinano ciò di cui diviene progressivamente cosciente, ed è parte della sua libertà organizzare tali valori in una gerarchia autocosciente. È però nella relazione con il mondo e con gli altri esseri umani che emergono sia la coscienza sia la possibilità di riflettere su scopi e valori.

Coscienza e libertà

La funzione più evidente e immediata della coscienza, nella regolazione dei sistemi motivazionali, è che ci rende capaci di dire di «no» all’espressione di uno SMI che si è attivato e che, in una ipotetica assenza di coscienza, troverebbe automaticamente espressione per il semplice fatto di essere stato attivato da un segnale emozionale interpersonale: la coscienza ci pone pertanto – rispetto agli animali – in una condizione di relativa libertà nella gestione della vita sociale, consentendoci anche una gestione più elastica e articolata dei conflitti e delle incongruenze, che si producono nel mondo interiore di un individuo impegnato in complesse dinamiche motivazionali interpersonali. Inoltre, grazie all’uso del linguaggio e delle strutture semantiche costruite a partire da esso, la coscienza permette all’uomo di utilizzare il dialogo interiore per affrontare le situazioni presenti, utilizzando risorse cognitive che fanno riferimento alle conoscenze personali accumulate nella vita e non immediatamente evocabili dalla situazione in atto.

Coscienza e metacognizione

Le facoltà e possibilità di scelta e integrazione rese possibili dalla coscienza di ordine superiore, o meglio, che la coscienza di ordine superiore riesce a operare sui contenuti che emergono dalla coscienza primaria, sono messe in opera grazie alle abilità metacognitive umane, che rendono possibile il riconoscimento dei contenuti della nostra mente e di quella altrui, di distinguerli e collegarli tra di essi, di regolarli in modo da non esserne vittime automatiche per il solo fatto che si siano attivati, di integrarli e dargli senso e direzione.

Il primo sistema motivazionale nel quale avviene l’attivazione, l’esperienza e la prima formazione di questo livello di coscienza e delle abilità metacognitive di cui stiamo parlando, è proprio il sistema di attaccamento. Pertanto, dipende in buona parte dalla relazione di attaccamento la maturazione e lo sviluppo di abilità metacognitive sufficientemente adeguate e di un livello di coscienza di ordine superiore sufficientemente elevato, da poter successivamente operare in modo consapevole, saggio e funzionale, in età adulta, sull’attivazione di tutti i sistemi motivazionali, di secondo e di terzo livello.

Ma non solo, sappiamo che anche la modalità con la quale è stata vissuta e sperimentata l’attivazione di altri sistemi motivazionali può modificare il sistema di attaccamento e il funzionamento metacognitivo (Manaresi et al. 2008), pertanto questa influenza tra il sistema di attaccamento e le abilità che da esso si sono sviluppale, e gli altri sistemi motivazionali, è bidirezionale.

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Emiliano Lambiase
Psicologo e Psicoterapeuta, Coordinatore Istituto di Terapia Cognitivo-Interpersonale

[1] Orientati alla stabilità della coppia e all’incremento dell’intimità nel caso dell’attaccamento sicuro; orientati a soddisfare bisogni di attaccamento collegati alla ricerca di autonomia e indipendenza (attaccamenti ad alto evitamento), oppure di rassicurazione della propria amabilità e della presenza del partner (attaccamenti ad alta ansia e basso evitamento).

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