Silvia Dai Prà: Senza salutare nessuno. Un ritorno in Istria. Laterza, Bari 2019, pp. 161, Euro 16.00
di Antonio Onofri
Scavare nelle contraddizioni personali, familiari, e in quelle di un popolo intero. A partire dai silenzi, dalle fragilità celate, dalla ostilità più o meno manifeste. Un trauma antico che si intuisce all’improvviso in una distanza, una voce spezzata, un atteggiamento infantile, un bisogno monotono di ordine e ripetitività…. come quando di fronte a qualcosa che ci sovrasta e non riusciamo a capire ci sentiamo di nuovo piccoli e impotenti.
Il riconoscimento sociale della immane tragedia delle foibe, seppur a fatica, è ormai arrivato.
Molti italiani hanno potuto vedere al cinema ma anche in TV, proprio lo scorso inverno, il film di Maximiliano Hernando Bruno Rosso Istria, sulla storia di Norma Cossetto, brutalizzata e gettata in una foiba solo perché figlia di un funzionario fascista.
Il libro di Silvia Dai Prà, ben scritto e percorso da una costante leggerezza, spesso anche ironica, percorre a ritroso quella storia, a partire dai propri ricordi di bambina e attraverso un’indagine condotta sul campo in Istria e durata due anni: “le domande che andavo facendo in Croazia sembravano generare un senso comune di fastidio… “. La scrittrice sembra stupirsene, non capisce, in fondo quel periodo storico è ormai concluso e per lei, giovane donna, quasi lontano nel tempo. “Mi sa che ci sono delle cose che non ti sono chiare”, le dice un giorno un amico. “Di cosa? Delle foibe?” “No. Del comunismo”.
E proprio a proposito del comunismo, dalle pagine del romanzo fuoriescono, insieme a un passato con cui non si sono mai davvero fatti i conti, le molte contraddizioni irrisolte: la nonna istriana che odia i comunisti (la nonna il cui padre è stato gettato in una foiba), un papà (figlio di quella nonna) comunista ma non si sa nemmeno perché (forse in opposizione alla propria madre da cui – probabilmente proprio a causa del trauma familiare – non si è mai sentito amato e accettato) come non si saprà mai perché a un certo punto comunista non lo sarà più. I titini comunisti che uccidono e si vendicano del fascismo anche con gli italiani (come il bisnonno della scrittrice) che fascisti non erano (nel caso specifico, era solo un normale commerciante benestante). I titini aiutati dai partigiani italiani. Italiani contro italiani. Poi i comunisti italiani che considerano “fascisti” i profughi istriani, anche quando fascisti non lo sono mai stati (come la nonna della scrittrice). Di nuovo, italiani contro italiani. Il sadico criminale Caballero, il “compagno Stemberga” considerato dai croati “un caduto per la libertà dell’Istria”. E infine la stessa scrittrice che rimane di sinistra, ma quasi timidamente, quasi chiedendo a se stessa se sia ancora possibile esserlo senza essere comunista.
“Il nazismo faceva della morte una mostra permanente di corpi maciullati….. il comunismo invece la morte la nascondeva. Il nazismo trucidava, il comunismo faceva sparire…..forse il comunismo nascondeva i suoi morti perché non erano previsti alla radice… perché il comunismo voleva essere ideologia d’amore e non di morte…”. Ma che pace potrà mai esserci, si chiede la Dai Prà, quando dalla terra continuano a riemergere i corpi smembrati delle foibe? Come credere ancora alla favoletta comunista dell’amore universale?
Ma, a parte il discorso sul Novecento e le sue ideologie, che resta sullo sfondo delle riflessioni del romanzo, questo bel libro rimane soprattutto una storia intima e privata, con protagonista la nonna Iole, incarnazione di quei postumi post-traumatici e di quel “triangolo drammatico” che gli studiosi dell’attaccamento disorganizzato ben conoscono.
Una nonna, Iole, inafferrabile e mutevole. Combattuta tra una parte bambina (“all’improvviso dai suoi polmoni sentivo uscire le parole di una bambina, una bambina che non era cresciuta mai, una bambina che era rimasta ibernata, dentro di lei, da qualche parte”), che sembra continuare a chiedere tra le righe conforto e protezione anche alla sua nipotina, secondo il più classico degli attaccamenti invertiti (“a volte mia nonna Iole mi afferrava il braccio e stringeva….. il mio braccio diventava l’ultimo appiglio che la tratteneva dalla caduta in un pozzo” …. “come se solo la forza del mio corpo potesse permetterle di non scivolare nel precipizio”), una parte ostile e arrabbiata, che forse la condurrà a una morte prematura (che chissà, forse avviene “quando in un corpo c’è troppa rabbia, che non trova modo di sfogarsi”), e infine una parte – la predominante – di sopravvissuta resiliente: “mentre l’Italia festeggiava la Liberazione, mentre il Paese si gettava alle spalle il passato, Iole e Guido ricominciavano chilometri più indietro rispetto alla loro posizione di dieci anni avanti: erano poveri, erano profughi, erano orfani. Risalire la china sarebbe stato il loro obiettivo principale: il comunismo il loro terrore più grande”.
Senza salutare nessuno è un romanzo bello e utile, che può aiutare a confrontarsi con il proprio passato individuale, familiare, collettivo, per “provare a capire, nello scorrere delle generazioni, se ciò che si sono portati dietro è simile a ciò che è arrivato a me, se ci sia un punto di unione, una traccia che ci rende simili in un dolore che non se ne andò….”.
Antonio Onofri
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