Livia, ovvero la quarantena dimenticata (di Fabio PRESTI)

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In questo periodo di grandi cambiamenti dovuti all’emergenza da Covid-19, anche noi terapeuti EMDR abbiamo dovuto introdurre delle variazioni nel nostro consueto modo di intervenire. Le buone prassi, che in tempi normali sconsigliano il ricorso all’EMDR da remoto, cambiano, sia per la necessità di intervenire a distanza su questa nuova emergenza, sia per garantire continuità al lavoro già avviato con i nostri pazienti. Anche io mi sono quindi cimentato con quello che è stato il mio primo intervento di EMDR online, finalizzato a proseguire il lavoro terapeutico con Livia, una paziente che non presenta aspetti dissociativi né diagnosi di particolare gravità (secondo le indicazioni per gli interventi a distanza) e di cui ben conosco i processi di rielaborazione. La tecnica utilizzata è quella della stimolazione mediante “abbraccio della farfalla” in questo caso eseguita con gli occhi aperti e cercando una sintonia con il terapeuta da remoto.

Livia è una professionista di mezza età, madre di due figli, che in questi giorni sta lavorando da casa. Da quando ci sono le restrizioni sociali la donna ha sviluppato una certa difficoltà a uscire di casa, anche in quelle occasioni che sarebbero “necessarie”. Pur seguendo tutte le indicazioni di protezione e di distanziamento sociale, Livia è molto tesa e si focalizza soprattutto sul comportamento “scorretto” tenuto dagli altri, provando a volte intensi sentimenti di collera. Si arrabbia, ad esempio, se qualcuno le viene incontro sul marciapiede senza scostarsi prontamente, ma anche in tutte quelle situazioni in cui le sembra che le persone non rispettino la distanza di sicurezza. Pur se comprensibili e in parte funzionali, questi vissuti lasciano trasparire un grado di preoccupazione e di arousal eccessivi che alla fine spingono la paziente a temere le uscite. Appare anche subito chiaro che la rabbia sottende una grande paura del contagio e che l’attivazione corporea rimanda ad una intensa reazione di allarme.

Com’è noto, le situazioni d’emergenza possono rappresentare dei trigger rispetto ad esperienze traumatiche che i pazienti hanno vissuto e che non sono state adeguatamente elaborate. Partendo quindi dall’ultimo episodio di disagio sperimentato da Livia (vedere dalla finestra alcuni condomini che discutevano in cortile) e utilizzando la tecnica dell’affetto-ponte, cerchiamo di rintracciare quelle situazioni passate in cui la paziente abbia sperimentato dei vissuti simili a quello.

Dopo qualche minuto il floatback consente a Livia di recuperare un episodio di vita in gran parte dimenticato, la quarantena particolarmente dolorosa da lei vissuta in età infantile, per una malattia esantematica. La paziente si stupisce dell’intensità di quel ricordo apparentemente così lontano ma ancora capace di scatenare emozioni e sensazioni tanto disturbanti. A quei tempi Livia aveva pensato di non farcela a superare la malattia, sentiva di poter letteralmente “cadere in pezzi”, era convinta che la pelle le si strappasse poiché continuava a grattarsi senza sosta. Inoltre, l’isolamento dai fratelli e dagli amichetti le aveva fatto sperimentare intensi vissuti di solitudine.

Recuperato questo ricordo, procediamo alla fase di assessment, in cui l’immagine peggiore risulta “la pelle sanguinante”, la cognizione negativa: “io sono in pericolo”, la cognizione positiva: “io sono al sicuro” (Voc 2), le emozioni “paura intensa e frustrazione”, il livello di disturbo pari a 8 e le sensazioni corporee “dolore diffuso, particolarmente sul collo”.

Prima di iniziare la rielaborazione Livia ed io proviamo a coordinarci con l’abbraccio della farfalla, per me è importante essere sintonizzati in modo che lei segua il mio ritmo, più o meno veloce, in base alle necessità della rielaborazione. Superata l’iniziale sensazione di stranezza per la nuova modalità, la rielaborazione sembra procedere in modo lineare, evidentemente la relazione e la sintonia con la paziente sono buone perché il tutto procede come quando lavoriamo dal vivo.

Durante la rielaborazione, come spesso avviene, emergono altri aspetti del ricordo che erano rimasti sullo sfondo: un amichetto già immunizzato, un giorno le aveva fatto visita, facendola sentire molto compresa ed incoraggiata. Successivamente la paziente ricorda come la madre si fosse presa cura di lei amorevolmente, medicandola e aiutandola ad alleviare il dolore delle ferite. Altre memorie si connettono ampliando il ricordo e conferendogli un aspetto meno cupo e disturbante. Alla fine della rielaborazione, quando il disturbo è pari a zero, la paziente si rende conto che in quell’occasione non era stata del tutto sola e che anzi, era stata capace di superare quella prova più che bene. Dallo schermo Livia accenna un sorriso e aggiunge: “Così come sento che succederà anche con questo virus, dottore!”

Fabio Presti
Psicologo Psicoterapeuta EMDR Practitioner, Centro Clinico de Sanctis Roma

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