La narrazione come strumento terapeutico: metodi e strategie per favorire la coerenza narrativa nella pratica clinica

“Ciò che le storie ci danno, alla fine, è rassicurazione. E per quanto infantile possa sembrare, quel senso di sicurezza – quel senso coerente di sé – è essenziale per la nostra sopravvivenza.”
(Gazzaniga, 2016)

 

 

PRESENTAZIONE 

1. Narrazione e identità: una costruzione interattiva e temporale

La narrazione non è un abbellimento del racconto di sé, ma la struttura stessa dell’identità. Lo evidenzia Jerome Bruner, tra i fondatori della psicologia culturale, secondo cui «l’identità è costruita narrativamente» (Bruner, 1990). Le storie che raccontiamo su di noi organizzano le esperienze nel tempo, stabilendo nessi di causa-effetto, coerenza interna e senso. Il Sé è, in larga parte, un “Sé narrato”.
Questa costruzione però non è solitaria: come ha mostrato Robyn Fivush, nei bambini la narrazione del sé si sviluppa interattivamente, in risposta alle sollecitazioni e ai modelli narrativi degli adulti. Le conversazioni autobiografiche in età evolutiva (reminiscence talk) creano le fondamenta della coerenza narrativa e della consapevolezza temporale (Fivush & Haden, 2003).
Il tempo è la materia prima della narrazione. Come scrive Paul Ricoeur, «è il tempo che diventa umano nel racconto, è il racconto che diventa significativo attraverso il tempo» (Ricoeur, 1985). È tramite la trama che gli eventi separati vengono messi in relazione e assumono significato.

2. Il trauma come interruzione della narrazione

Il trauma psicologico rompe il tessuto narrativo. Quando un’esperienza è troppo intensa, troppo precoce, troppo caotica, essa non può essere narrata: resta fuori dalla memoria esplicita, confinata in una memoria somatica, sensoriale, frammentata.
Van der Kolk ha descritto questo fenomeno come una dissociazione tra la memoria dichiarativa e la memoria implicita. Il corpo conserva tracce dell’esperienza (sensoriali, motorie, fisiologiche), ma la mente non riesce a integrarle in una narrazione coerente (van der Kolk, 2020). I pazienti traumatizzati spesso non ricordano con parole, ma rivivono l’evento con flashback, sensazioni corporee intense, emozioni improvvise.
Chris Brewin ha proposto un modello esplicito per comprendere questo fenomeno: distingue tra VAM (verbally accessible memory) e SAM (situationally accessible memory). La VAM contiene i ricordi narrabili, contestualizzati, ordinati; la SAM conserva immagini, percezioni e attivazioni che possono emergere in forma disorganizzata (Brewin, 1996).
Questa frattura ha conseguenze cliniche rilevanti: i pazienti non solo non ricordano, ma spesso non riescono a raccontare. E quando lo fanno, la narrazione è discontinua, con omissioni, disorganizzazione temporale, sovrapposizioni semantiche.

Segni clinici della disorganizzazione narrativa

All’interno della relazione terapeutica, la narrazione di un paziente traumatizzato può manifestare:

  • oscillazioni temporali: si passa continuamente dal presente al passato e viceversa, senza marcatori sintattici chiari;
  • frasi incomplete o paratattiche: mancano subordinate, la narrazione è fatta di sequenze giustapposte;
  • deissi ambigua: uso frequente di “quella cosa”, “quel giorno”, “quella persona”;
  • frammentazione emotiva: scarti tra contenuto narrato e tono affettivo;
  • collasso linguistico: il paziente smette di parlare, si blocca, dice “non so”, “è tutto confuso”.

In questi casi, è evidente la violazione delle massime conversazionali di Grice (1975), che regolano la cooperazione comunicativa e la frattura nell’ordinario esercizio delle funzioni metacognitive.

4. Lo storytelling come atto clinico

Raccontare non è solo un esercizio linguistico, è un atto trasformativo. Quando un paziente riesce a formulare un pezzo di storia che prima era muto, sta riorganizzando la sua esperienza psichica. In questo senso, la narrazione non è solo un mezzo per dire il trauma: è un modo per superarlo.

Nel laboratorio narrativo, ci si muove tra ciò che è stato taciuto, ciò che non può ancora essere detto, e ciò che forse si può iniziare a dire con cautela, per immagini, per approssimazione, per allusione. Come afferma Robert Neimeyer, «il compito del terapeuta è aiutare il paziente a ricostruire significato dove c’è stato trauma, frammentazione, discontinuità» (Neimeyer, 2001).

Il lavoro narrativo è fondamentale per identificare le esperienze traumatiche, comprendere la funzione del sintomo e condurre la formulazione del caso. Tuttavia, quando la narrazione è assente, disorganizzata o dissociata, il terapeuta ha bisogno di metodi ausiliari.
Il terapeuta non deve forzare il racconto, ma offrire contesti narrativi alternativi per permettere al paziente di accedere ai propri contenuti impliciti:

  • narrazione simbolica (carte, oggetti, immagini),
  • autobiografia indiretta (scrivere in terza persona, da altri punti di vista),
  • strutture vincolanti (raccontare solo l’inizio o solo la fine di un evento),
  • evocazione per lacune (frasi mai dette, fotogrammi perduti, linee del tempo interrotte).

Il workshop è pensato per psicoterapeuti e psicologi, iscritti ad una scuola di psicoterapia. L’approccio proposto integra la cornice del cognitivismo evoluzionista, la teoria dell’attaccamento e i principi teorici della psicotraumatologia per offrire uno sguardo complesso sulle storie dei pazienti: storie che organizzano il senso di sé plasmano le relazioni e, talvolta, comunicano e generano sofferenza. Attraverso due giornate di formazione, i partecipanti apprenderanno:

  • come riconoscere i segni clinici della disorganizzazione narrativa nei pazienti traumatizzati (oscillazioni temporali, collasso linguistico, violazione delle massime di Grice);
  • come individuare le tematiche narrative ricorrenti che rivelano la presenza di credenze semantiche disfunzionali;
  • come utilizzare strumenti narrativi ausiliari per accedere al materiale traumatico in modo non invasivo: linee del tempo, oggetti smarriti, carte simboliche, frasi mai dette, scrittura in terza persona;
  • come integrare queste modalità nella pratica clinica quando i ricordi sono inaccessibili o frammentati;
  • come affinare lo sguardo clinico sul racconto del paziente: non solo cosa viene detto, ma come, quando, con quali silenzi;
  • come aiutare i genitori a diventare narratori consapevoli e sostenitori della storia di vita del bambino e delle sue radici.

Il workshop include momenti di pratica esperienziale e riflessione personale: ai partecipanti sarà proposto di confrontarsi con le proprie narrazioni, i propri punti ciechi, ciò che, anche in loro, resta non completamente integrato.

PROGRAMMA DEL CORSO

PRIMA GIORNATA

1-Fondamenti teorici e clinici della narrazione

  • Neurobiologia ed evoluzione della narrazione.
  • Le narrazioni come organizzatori dell’esperienza: storie funzionali e storie disfunzionali.
  • La costruzione dell’identità narrativa del bambino nelle relazioni di attaccamento.
  • Coerenza narrativa e sofferenza clinica

2-Analisi delle narrazioni e formulazione del caso secondo la prospettiva evoluzionistica

  • Le narrazioni come espressione dei Sistemi Motivazionali Arcaici, Interpersonali ed Epistemici: utilizzare la mappa dei SMA e SMI per comprendere i modelli impliciti delle storie del paziente.
  • Riconoscere le storie in cui emergono pattern narrativi legati a sistemi di difesa (fuga, lotta, congelamento) e strategie di adattamento apprese in contesti traumatici o disfunzionali.
  • Valorizzare le storie di cooperazione, cura e affiliazione come risorse per la costruzione di narrazioni alternative più integrate e resilienti.
  • Individuare le tematiche narrative ricorrenti che rivelano la presenza di credenze semantiche disfunzionali.
  • Dal significato neurosomatico alla formazione delle credenze patogene: esplorare il legame tra la dimensione sensomotoria e l’elaborazione narrativa.
  • Lavorare per favorire la consapevolezza del paziente rispetto a questo legame, come base per la trasformazione narrativa e la costruzione di storie più adattive.

SECONDA GIORNATA

1-Trauma e narrazione

  • Come irrompe il trauma nella narrazione: narrazioni traumatizzate e narrazioni traumatizzanti.
  • Narrazioni indicibili: evitamento, negazione e autoinganno come difese narrative.
  • Markers traumatici nelle storie narrate: riconoscimento e implicazioni cliniche.
  • Le narrazioni mancanti e i segreti nelle trame narrative.
  • Decodificare le metafore del trauma e gli enactment: esplorare la funzione adattiva dei comportamenti post-traumatici.
  • Il corpo come luogo della narrazione implicita.

2-Metodi e interventi narrativi nella pratica clinica

  • Il lavoro clinico con le storie: la raccolta e la lettura condivisa della storia del paziente come intervento terapeutico.
  • Il lavoro clinico con la narrazione delle storie di attaccamento.
  • La scrittura espressiva come strumento di integrazione narrativa: principi e modalità di utilizzo.
  • Costruire narrazioni alternative: favorire la coerenza narrativa e sostenere l’integrazione degli eventi traumatici in una narrazione condivisa e trasformativa.

3-Lavorare con i genitori attraverso le narrazioni

  • Analisi e lavoro sulle narrazioni e sugli stili narrativi genitoriali.
  • Aiutare i genitori a diventare narratori consapevoli, capaci di raccontare storie che sostengano la coerenza autobiografica del bambino. (da dove vengo, chi sono, come posso trasformare la mia storia).
  • Usare le narrative per integrare il trauma preverbale.

Costo: €350 + IVA e ritenuta (se dovuta) in base al regime fiscale del partecipante) = 427 euro

Pagamento da effettuare entro una settimana dalla data dell’evento tramite bonifico bancario intestato a: Verardo Anna Rita Antonella
BPER Iban: IT60U0538773920000001066869 Causale: Webinar: Workshop Teorico ed Esperenziale + Nome e Cognome
Allegare copia del bonifico e inviare mail a annaritaverardo@me.com

PARTECIPA ALL’EVENTO (pagamento con bonifico bancario) vai all’evento:  https://www.emdr-terapia-roma.it/events/workshop-teorico-ed-esperenziale/

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