Il cosiddetto “rinascimento psichedelico” promette da alcuni anni una rivoluzione nella cura della mente. Ma è davvero così?
Parla lo psichiatra Antonio Onofri
Antonio Onofri, psichiatra con lunga esperienza clinica e direttore della Training School di Roma, Jesi e Spoleto, invita a una lettura meno ideologica e più concreta: “Gli psichedelici non sono né il male assoluto né la chiave di volta della psichiatria moderna”. Onofri parte da un caso concreto: l’esketamina, derivata della ketamina, oggi somministrata in spray nasale per il trattamento della depressione resistente. “Fino a poco tempo fa era considerata una droga e basta. Ora è un farmaco usato negli ospedali, in condizioni controllate. È l’esempio che ogni sostanza, se studiata, può rivelare proprietà terapeutiche. Ma questo non significa che tutto vada bene per tutti”.
Il discorso si allarga alle sostanze psicoattive in generale: “Cannabis, LSD, MDMA: tutte hanno effetti talvolta benefici, ma anche rischi significativi. La cannabis medica, ad esempio, ha una sua efficacia su dolore, insonnia e nausea, ma sappiamo che un suo uso cronico nei giovani aumenta il rischio di psicosi e crea un deficit motivazionale che incide negativamente sull’attenzione. È una questione di dosaggio, età, durata e vulnerabilità individuale”. La verità, secondo Onofri, è che “non esistono sostanze buone o cattive, esistono effetti su cervelli diversi. È come con il caffè: c’è chi lo regge e chi no”.
Il dibattito scientifico resta comunque aperto e vivace. “A Londra e in California ci sono studi seri sull’uso di MDMA per il disturbo post traumatico da stress o della psilocibina per la depressione resistente. Sono ricerche interessanti ma ancora molto limitate, in contesti ultra controllati”. Un secondo filone di sperimentazione è quello dell’uso delle microdosi per facilitare l’introspezione psicoterapeutica: “L’idea che dosi minime di LSD o Ayahuasca possano aiutare ad accedere più facilmente a traumi o vissuti profondi durante una psicoterapia è piuttosto vaga e, soprattutto, più difficile da standardizzare. Di che setting parliamo? Con quale metodologia?” Onofri mette in guardia: “Una sostanza può facilitare un viaggio interiore, ma una psicoterapia non si riduce a un’esperienza psichedelica. Servono una relazione, una continuità, una valutazione rigorosa. E soprattutto sicurezza”. Il rischio è che il desiderio di una “cura magica” prevalga sul buonsenso clinico: “Mi ricorda molto la stagione delle cellule staminali. A un certo punto sembrava che dovessero curare tutto, dall’Alzheimer al Parkinson. Poi la scienza ha fatto i conti con la complessità biologica”.
Anche il concetto stesso di psicofarmaco, secondo Onofri, andrebbe ripensato: “In realtà non esistono psicofarmaci in senso stretto. Ogni medicinale ha effetti centrali e deve essere gestito di conseguenza: gli antibiotici possono dare insonnia, il cortisone in certi casi può provocare stati di euforia”. Sarà possibile vedere in futuro i medici prescrivere sessioni di psicoterapia assistita con LSD? “Forse, ma non a breve: gli psichiatri devono informarsi, studiare, ma anche essere molto prudenti.
Perché la vera questione è un’altra: di quale cervello parliamo? Con quali condizioni? Con quali difese? L’effetto di una sostanza non dipende soltanto dalla molecola, ma dal contesto, dalla persona, dalla sua storia”.
di Ilaria Donatio – Quotidiano la ragione
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