IL RAGAZZO COI PANTALONI ROSA (recensione di Massimo De Franceschi)

IL RAGAZZO COI PANTALONI ROSA
Film del 2024 diretto da Margherita Ferri, reperibile su Netflix, Netflix basic with Ads, Prime Video e presto su numerose altre piattaforme (recensione di Massimo De Franceschi, psicologo psicoterapeuta)

Devo dire che sono stato molto in dubbio nello scrivere con autenticità i pensieri suscitati dal film perché sentivo che il suo essere tratto dal libro della madre reale di Andrea, la cui storia è rappresentata nel film, avrebbe potuto ostacolare, per prudenza e rispetto, alcune osservazioni critiche sui personaggi dell’opera cinematografica. Un fattore mi ha, però, permesso di essere sincero e diretto: io analizzo psicologicamente il film e solo la storia narrata in esso. Non ho letto il libro scritto dalla madre di Andrea ed essendo consapevole che la trasposizione cinematografica di un testo è una traduzione e come tale, come tutte le traduzioni, è anche un po’ un tradire, gli elementi di riflessione critica su alcuni punti non costituiscono un giudizio negativo dell’operato delle persone reali nella vicenda drammatica di Andrea. Come genitore, insegnante e psicoterapeuta che ha commesso e commette errori nello svolgimento di queste tre importanti funzioni, provo rispetto, comprensione e indulgenza profonda verso chi come me esercita anche solo uno di questi ruoli: come esseri umani non possiamo che compiere errori anche e soprattutto su aspetti importanti della vita. E’ difficile non essere ingiusti con chi amiamo (Oscar Wilde).
Ho avuto l’occasione di vedere il film in un cinema gremito di adolescenti, era una proiezione riservata alle scuole e avevo anche vicino alcune insegnanti che, complice forse la situazione di semioscurità, si sono lasciate andare a dichiarazioni nette ed esplicite sulle vicende proiettate. In merito ai primi devo dire che in occasione delle scene affettuose tra i protagonisti si sono uditi boati di esclamazioni varie (senza differenza tra i contatti tra Cristian e Andrea o tra quest’ultimo e Sara): sembravano essere esclamazioni per allentare la tensione, più che giudizi negativi o positivi sulle interazioni in atto. Le insegnanti, invece, si sono più volte dichiarate a favore o contrarie a qualche interazione genitori-figli.
Parlerò nel dettaglio del film senza tralasciare la descrizione e l’analisi di diverse sue scene centrali, per cui il lettore che non volesse conoscere la trama del lungometraggio dovrebbe astenersi dalla lettura prima di aver visto la pellicola.

I tre mestieri impossibili indicati da Freud (governare, educare, curare) si possono, forzando solo un po’ l’interpretazione del viennese, vederli concentrati nell’essere genitori, ma qualcuno potrebbe dire che anche fare l’adolescente, oggi non è per niente facile. Ecco, il film Il ragazzo coi pantaloni rosa parla proprio di questi due ‘lavori’ oggi resi impossibili da alcune specifiche e recenti caratteristiche della società in cui viviamo. E lo fa senza esercitare la drammaticità che pure la narrazione cinematografica avrebbe potuto esibire. La regista, pur utilizzando il linguaggio cinematografico classico per evidenziare l’intensità di alcune scene (esempio l’utilizzo del rallenty in alcuni momenti particolarmente dolorosi per il protagonista), permette, con la sua trattazione delicata e mai esagerata, una riflessione moderatamente pacata sui contenuti del film che difficilmente avremmo potuto attuare in preda ad emozioni eccessive.

Il film inizia con la scena della nascita di Andrea Spezzacatena e con l’urlo di dolore di madre e figlio appena nato, anticipazione che la vita è dolore per tutti, ma l’indugiare della regista su questi momenti forse già indica che per queste due persone specifiche lo sarà in modo particolarmente intenso, sottolinea inoltre il legame profondo tra queste due persone, legame che nel film non tenderà ad attenuarsi, anzi…

Dopo il momento drammatico del parto assistiamo ad alcune scene dove la famiglia si presenta felice, eravamo così felici dichiara il protagonista con la voce fuori campo (che ritroveremo alcune volte nel film e che può avere la funzione di distanziare lo spettatore dalla visione) dimenticandosi dell’inizio doloroso, dimenticando di integrare gli opposti, dimenticando che la vita non si può rigidamente scomporre in fasi nettamente contrapposte di bene-male, ma se vogliamo anche di maschile-femminile, dolce e duro (come dice Andrea a proposito del binomio nome-cognome), gioia e dolore, vita e morte (il pianoforte che dà musica viva, ma che nella prima inquadratura sembra ricordare una bara)… Ecco, un primo piano di lettura del film: crescere significa accettare la compresenza degli opposti come naturale, la vita come il già, ma il non ancora, essere grande come accettazione anche di quelle parti di sé che rimangono bambine e bisognose di riconoscimento…

L’adolescenza è essa stessa terra di confine, dove ci si senti bambini, ma anche grandi. Andrea sembra rifiutare questa complessità, sembra incerto nella volontà di crescita: è’ attratto dallo sviluppo, ma ne è anche spaventato. Sentimenti che appartengono di diritto all’adolescenza, ma nel caso specifico di Andrea, ciò che lo fa particolarmente indugiare nell’andare avanti nel suo percorso di individuazione e separazione sembrano essere le dinamiche della famiglia e il particolare rapporto con la madre, fatto di una vicinanza apprezzata, ricercata, molto forte, un’intesa che a volte sembra remare contro una individuazione del ragazzo, un rapporto che oserei dire simbiotico, da innamorati (la nostra canzone che ha per ritornello non so stare senza di te… e tanti altri punti del film), ma dove la comunicazione tra loro sembra comunque restare in superficie.

Non si devono scomodare sottili interpretazioni analitiche per leggere dietro questa relazione la possibile ricerca di una gratificazione e riconoscimento materno attraverso il rapporto con il figlio come surrogato al rapporto zoppicante con il marito. l rapporto di Andrea con il padre è molto diverso, ricercato, ma distante, forse l’unico insieme all’amica Sara che si mostra in tutta la sua debolezza, ma che restituisce ad Andrea una visione complessa, adulta, che non si nasconde dietro false sicurezze (anche se a volte nel tentativo di rassicurare il figlio promette una permanenza nel matrimonio che poi non sarà, non saranno, in grado di mantenere: i grandi fanno a volte promesse oneste, ma grandi), ma che sa anche godere di quello che la vita propone (esempio la scena al ristorante dove in famiglia si festeggia la laurea della madre e questa, invece, si dichiara insoddisfatta). Ma il padre si esclude ed è escluso dal rapporto stretto tra Andrea e la madre (come nell’episodio del mancato invito alle giostre per festeggiare la borsa di studio ottenuta dal figlio).

Andrea cresce in un ambiente familiare dove i litigi e le incomprensioni della coppia coniugale aumentano fino all’inevitabile rottura e sente su di sé la responsabilità di attenuare gli scontri, arrotondare gli spigoli, proteggere il più debole (il fratellino – figura secondaria nella famiglia rappresentata nel film), ma anche il suo rapporto con la madre). E’ nella strategia, funzionante nel breve periodo, quella dell’essere accomodante, comprensivo, un bravo ragazzo che non dà preoccupazioni, ma solo soddisfazioni (il più bravo della scuola: lui che ha letto 100 libri e li ha tutti valutati, tentativo di tenere sotto controllo il passare del tempo che porta delle trasformazioni inevitabili). Andrea cerca una stabilità per sé e per chi gli sta attorno (bella l’intuizione della nonna, che svela alla madre proprio questa dinamica, è un ragazzino che vuole far felici gli altri, svelamento che non può essere da lei accettato). E la sua bravura stessa, il suo andare così tanto bene a scuola, sembra anche essere la strategia che indica al fratellino per far fronte alle difficoltà della coppia di sposi: in occasione di un forte litigio, per evitare le urla dei genitori, Andrea porta il fratellino in una libreria come per indicargli la strada, da lui compiuta con successo, per resistere. Il padre non nega i litigi, parla al figlio maggiore direttamente, senza nascondere che a volte le cose “succedono” e l’unica via per andare avanti è adattarsi, diventare flessibili (come l’airone ben inquadrato durante la scena della comunicazione della separazione coniugale sembra suggerire).

In questa stessa scena Andrea mette in atto la sua strategia solita: si preoccupa del fratellino e si offre di comunicare lui la terribile notizia, caricandosi di un peso che non gli compete, come non era compito suo lottare per tenere insieme i genitori, compito che questi, involontariamente, gli hanno permesso di eseguire. Difficile crescere, se questo comporta la perdita dello sguardo adorante della madre. In occasione della giusta punizione paterna per l’offesa all’insegnante, la madre gli chiede di tornare ad essere l’Andrea di sempre che vuol dire sottomesso e dolce, bambino, si propone come mediatrice per attenuare la punizione inflitta dal padre, ma il ragazzo rifiuta da una parte forse proprio per accettare il ruolo adulto che sente maggiormente proposto dal padre e dall’altra per non far litigare tra loro i genitori (solita dinamica di accudimento invertito). In questa dinamica familiare di faticosa desatellizzazione dai genitori si inserisce l’attivazione di altri normali compiti di sviluppo dell’adolescenza: l’integrazione della sessualità, l’accresciuta importanza del gruppo dei pari e il tema dell’identità. Del resto i temi adolescenziali di amicizia, lotta tra il bene e il male, coraggio, lealtà, ricerca di una propria identità, esplorazione di sé e del mondo sono quelli rintracciabili nel testo Moby Dick che vediamo Andrea leggere più volte.

Vede per la prima volta Cristian durante un’audizione per il coro della scuola media, privata, elitaria, rigida (divise impeccabili per la scuola e anche per l’ora di educazione fisica, posti in classe sempre uguali e banchi separati) e viene colpito dalla sua sicurezza e dal suo essere più grande, forte, palestrato, più ‘maschio’ di come si sente lui, ma forse solo più ‘avanti’ nella crescita psicofisica. E nasce un interesse, un’attrazione che, secondo me ha più a che fare con la dimensione cercata di maschilità che essere puramente e semplicemente sessuale, pur non negando la presenza anche di questo aspetto. Mi sembra di vedere in trasparenza ‘la dinamica dell’esotico (lo strano, il distante da sé) che diventa erotico’ cioè attraente, fascinoso che secondo alcuni potrebbe alimentare, in alcuni casi, interessi omosessuali (Bem, D. J. (1996). Exotic becomes erotic: A developmental theory of sexual orientation. Psychological Review, 103(2), 320–335). Andrea si chiede ad un certo punto cosa si prova ad essere come lui: Cristian come prototipo del maschio che vorrebbe essere (proviene da una famiglia di stampo ‘maschile’: in caso di nuova bocciatura il padre lo avvierebbe alla carriera militare).

La diversità dei due ragazzi è ben visibile già all’inizio: durante l’audizione per il coro della scuola, Andrea propone alla commissione esaminatrice l’Ave Maria di Schubert (esaltazione della donna e della madre), Cristian propone Jesus Rex (la maschilità reale, vittoriosa, forte). Per la prima volta insieme nel coro canteranno il Kyrie Eleison, Signore pietà, come per avvisare lo spettatore di non giudicare con troppa fretta e negativamente ciò che andrà a svilupparsi. Tra i due nasce un rapporto complesso dove sicuramente ognuno soddisfa esigenze personali (Andrea stare vicino al compagno per assumerne, per ‘osmosi’, le sue caratteristiche, Cristian per esigenze di studio), ma che sarebbe superficiale leggere solo in questo modo. Il rapporto è profondo ed è caratterizzato da invidie, gelosie, rivelazioni più o meno impegnative, ma sembra caratterizzarsi secondo due stili diversi: Andrea tutto preso da attivazioni legate all’attaccamento, accudimento, sessualità; Cristian dalla competizione. L’equilibrio sufficientemente armonico di questi quattro sistemi motivazionali (già cooperano sui compiti scolastici e nelle competizioni sportive) rappresenterebbe, di fatto, un bel raggiungimento della maturità. Forse inconsciamente ognuno dei due ragazzi vede nell’altro una parte di sé da sviluppare. Ma il rapporto tra i due ragazzi è ben esemplificato dalla scala a chiocciola che porta Andrea verso la casa di Cristian, che è sì ascendente, ma al centro ha un grosso buco nero spaventoso…

Anche la relazione con Sara è complessa, ma questa ha caratteristiche evolutive positive più nette: i due iniziano a frequentarsi condividendo interessi comuni (forse perché entrambi emarginati dai gruppi scolastici: gli emarginati solitamente si ritrovano e interagiscono tra loro). Sara è un grillo parlante, rappresenta l’occhio esterno, insolitamente saggio e realista, vista l’età: gli ricorda che anche lui è un bambino, quando vuole eccessivamente prendersi cura degli altri, gli ricorda che nulla è per sempre, gli ricorda che Cristian è bellissimo, ma che è anche uno stronzo, gli perdona il suo essersi avvicinato a Cristian e di averla trascurata (lei avrebbe fatto lo stesso). Infine, per entrare nel gruppo dei ‘popolari (il regista sottolinea con un pallone sbattuto rumorosamente contro una rete di protezione l’importanza del tema) e avvicinarsi a Cristian sarà poi la ragazza ad ‘abbandonare’ Andrea.
In questa situazione di normale caos adolescenziale si inseriscono due episodi centrali, deflagranti. Il primo riguarda proprio i famosi pantaloni rosa, originariamente rossi, che il ragazzo decide di mettere ugualmente, forse per compiacere o non demoralizzare la madre per il lavaggio sbagliato (la prima reazione alla visione del colore è un Oddio! non proprio entusiasta, poi, forse per non dare un dispiacere alla madre, ripiega su un sono meglio di prima.

E qui, mi dispiace, ma devo ammettere che non sono d’accordo con la frase della madre che il regista mette alla fine del film: in tante cose ho sbagliato… ma permettere a mio figlio di mettere quei pantaloni rosa… non è stata una di queste. Ecco, secondo me e secondo alcune delle colleghe che hanno visto il film con me, la madre (ricordiamolo: del film, non quella reale della storia vissuta) ha sbagliato per mancanza di tutela, di prudenza. Certo, pensare che il rosa sia appannaggio o dimostrazione di un’appartenenza conviene all’area degli stereotipi che creano pregiudizi. E ridurre questi ultimi è una guerra che si deve continuare a fare, ma non spetta ai ragazzini andare in guerra. Il mettere quei pantaloni è stato un atto di imprudenza di figlio (e qui ci sta, data la giovane età) e madre: quando attraversiamo la strada sulle strisce pedonali guardiamo più volte a destra e a sinistra, anche se è nostro diritto attraversare con precedenza… L’altro episodio, micidiale, sadico, è quello relativo alla festa di fine anno scolastico, dove Andrea cade nel tranello di presentarsi, lui solo, vestito da prostituta. Difficilmente noi adulti possiamo capire la vergogna devastante (e il senso di tradimento) provato dal ragazzo in quella occasione. Le riprese con i cellulari e l’apertura del sito internet che lo denigrava sono stati elementi determinanti la decisione tragica e irreversibile presa da Andrea. Il cyberbullismo, rispetto al bullismo ‘classico’, non rende visibili i violenti dietro la tastiera, rendendo impossibile la propria difesa; non offre possibilità di scampo, è sempre attivo ed ha un pubblico enorme. Fattori che elevano all’ennesima potenza la violenza via web. Probabilmente senza la potenza distruttrice del web la vicenda non avrebbe avuto esiti tanto drammatici: col tempo i personaggi avrebbero trovato un equilibrio imperfetto, umano…

La dichiarazione a Sara del suo essere innamorato di lei (che non a caso è possibile solo dopo aver visto la madre interagire affettuosamente con un altro uomo), purtroppo non viene accolta come sperava…
Andrea “velocizza” la caduta, anticipa una sua definizione identitaria sfidando il contesto e le norme sociali, ma avendo una struttura normale, quindi fragile come tutti gli adolescenti, esibisce una spavalderia che attira su di sé ulteriore derisione ed emarginazione. Lui che voleva ‘spezzare’ le catene degli stereotipi si è trovato incatenato suo malgrado a una identità (‘Checcacatena’) soffocante: come un naufrago, che inevitabilmente andrà a respirare l’acqua pur sapendo che questo determinerà la sua fine, esibirà unghie colorate nei corridoi della scuola.

L’esibizione prematura di un’identità (fluida? omosessuale?) non pienamente integrata e non sufficientemente consapevole, riconosciuta ed esplorata sembra essere proprio una fuga dalla non-definizione, dalla trasparenza, dall’insignificanza sentita come insopportabile. Questa fuga anticipata in un’identità che forse non appartiene a questi ragazzi e ragazze, questo evitare la confusione e il dolore dovuto all’incertezza, trova purtroppo, a volte, il sostegno di associazioni o di professionisti che, a scopo più o meno ideologico, non li ‘rallentano’ e non ampliano loro lo sguardo limitato da una fisiologica immaturità cognitiva ed emotiva.
Termino riportando la frase più profondamente vera che Andrea dice quasi alla fine del film: l’adolescenza è l’età che se per qualche motivo sei un perdente, pensi che sarà così fino alla fine dei tuoi giorni. Ecco: il ridare speranza, l’aprire nuovi orizzonti, il non accettare l’idea che il qui e ora sia uno stato fisso ed irreversibile, che la vita va avanti (è il tentativo fatto dalla nonna del protagonista verso la fine del film) è il compito di educatori, terapeuti e genitori. Ed è anche il significato del sottotitolo del libro della madre di Andrea: oltre il pantalone rosa. Oltre quell’unico pantalone rosa c’è un mondo di colori che aspetta di essere indossato.

18/04/2025
Massimo De Franceschi, psicologo psicoterapeuta

 

 

 

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