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EVOLUZIONISMO E SCIENZE UMANE – rubrica a cura di Cristiano Ardovini (presentazione di Antonio Onofri)

Thomas Suddendorf, Jonathan Redshaw, Adam Bulley (2022): The invention of tomorrow. A natural history of foresight. Basic Books, New York.
(recensione e commento di Cristiano Ardovini)

L’utilizzo della prospettiva evoluzionista nei diversi ambiti della conoscenza umana è andato sempre più radicandosi da quando, intorno alla metà dell’Ottocento, Charles Darwin ne delineò gli assunti fondanti. Le sue applicazioni hanno trasceso il reame scientifico, in cui la teoria ha preso il suo abbrivio, per coinvolgere a pieno titolo anche il variegato mondo delle discipline delle scienze umane – la filosofia, solo per fare un esempio – arricchendone il pensiero e stimolando una sempre più vivace ed euristica integrazione tra ambiti conoscitivi in cui la dialettica si era dimostrata da tempi annosi obiettivo utopistico. Ne è patente testimonianza il dialogo serrato che negli anni ha sempre più caratterizzato il multiforme mondo delle neuroscienze, dove il paradigma darwiniano, con i suoi più recenti sviluppi, sembra aver prodotto progressi molti e interessanti nella comprensione dei diversi aspetti del funzionamento del cervello/mente.

È in un tale scenario che si colloca il libro The invention of tomorrow. A natural history of foresight di Suddendorf, Redshaw e Bulley, tre psicologi e neuroscienzati cognitivi australiani. Suo tema centrale, come ben si evince dal titolo, è l’elaborazione di una storia naturale della capacità previsionale umana – o lungimiranza -, che per gli autori si sostanzia anche, e soprattutto, nell’abilità di “organizzare” viaggi mentali nel tempo. Proiettarsi nel futuro, di solito attingendo agli archivi di engrammi, personali e non – memoria – permette di costruire, nel teatro della propria immaginazione, scenari molteplici e alternativi, indirizzando scelte e organizzando comportamenti. Da qui, breve il passo che porta all’entrata in scena, in una sorta di coup de teathre, del libero arbitrio che, pur nella sua evidente limitatezza, sembra caratterizzare la possibilità, tutta umana, di trascendere almeno in parte i vincoli di un determinismo figlio della dimensione del biologico. E all’agire della capacità previsionale si lega, inevitabilmente, la dolorosa esperienza del rimpianto, quando, a cose fatte, ci si accorga dell’inadeguatezza delle proprie scelte. Che dire poi del suo contributo al modellamento delle diverse sfumature semantiche assunte dal tema della moralità – categorizzazioni del comportamento nei termini di giusto/sbagliato – quando ci si fermi a valutare la dimensione dell’intenzionalità di un agito. O della sua centralità nel processo di continua e costante costruzione e revisione di un senso di sé – o identità personale – con il contributo irrinunciabile della memoria autobiografica, che fornisce gli elementi di base su cui operano i processi d’integrazione del cervello/mente.

Queste sue diverse e complesse caratteristiche la collocano a pieno titolo tra gli elementi integranti di quella funzione esecutiva di cui tanto si sono occupati e tuttora si occupano i neuroscienziati cognitivi, nelle loro esplorazioni dell’indissolubile binomio cervello/mente. Diverse le definizioni e descrizioni proposte (es. Banich 2009; Braver 2012; Smaers et al 2017), di cui è disseminata la letteratura specialistica, tanto da evocare, non di rado, un certo grado di disorientamento euristico, come ben argomenta lo psicologo e antropologo Michael Tomasello nella sua ultima fatica, recensita di recente in questa rubrica.

Ed è proprio la complessità e centralità delle funzioni assolte dalla capacità previsionale, di cui il volume fornisce, come detto, una panoramica ricca ed esaustiva, a spingere gli autori a considerarla quale uno dei fattori più significativi nel complesso percorso di speciazione del genere Homo. Tema a cui dedicano, con dovizia di particolari ed encomiabile chiarezza, un intero capitolo del libro – il sesto – premurandosi, al contempo, di sottolineare, con lodevole onestà intellettuale, quanto gli scenari descritti, pur corroborati da dati numerosi e solidi, mantengano carattere di natura speculativa. Aspetto di cui è d’altronde ben consapevole chi si occupa di ricostruzioni filogenetiche di tratti – anatomici, comportamentali e mentali. Questa capacità di “inventarsi” il domani, come evocativamente recita il titolo del libro, tanto rilievo ha esercitato nello sviluppo di Homo, da permettergli di arrivare a  “dominare” il pianeta – da qui il termine Antropocene come identificativo dell’era attuale – perché decisiva nel dare impulso al fenomeno dell’evoluzione culturale, a cui gli autori attribuiscono uno straordinario potere trasformativo. Meccanismi quali insegnamento e innovazione, embricati alla capacità previsionale e al contempo suo riflesso, ne rappresentano le dimensioni costitutive irrinunciabili. Ne sono dimostrazione incontrovertibile, secondo gli autori, anche e soprattutto la continua creazione e il costante affinamento di strumenti e tecnologie in grado di rendere sempre più mirata e puntuale la capacità previsionale, quali calendari, scrittura e il denaro, alla cui descrizione è dedicato un capitolo intero del libro. Angolatura interpretativa dell’evoluzione culturale, questa, di certo ben distinta e distante da quella sostenuta da antropologi quali Joseph Heinrich, in cui la cultura, con i suoi sviluppi, è diretta controparte dell’evoluzione biologica e, al suo pari, cieca e tutta centrata sul meccanismo dell’iperimitazione, dove ruolo a dir poco limitato è ritagliato alla capacità del cervello/mente di organizzare viaggi nel tempo. Punti di divergenza in merito si evidenziano anche rispetto alle riflessioni proposte da Michael Tomasello, per il quale la cultura deve essere considerata a tutti gli effetti fenomeno radicato nel biologico, vista la sua filiazione diretta nel corso del tempo filogenetico dalla dimensione dell’intenzionalità condivisa – cooperazione paritetica, secondo la Teoria Evoluzionista della Motivazione (TEM) proposta da Giovanni Liotti. E, al proposito, nel corso dell’intero volume, non sembra emergere con chiarezza la posizione degli autori in riferimento alla relazione evolutiva tra capacità previsionale e dimensione cooperativa. In alcuni passaggi, in particolare nel capitolo dedicato alla filogenesi della lungimiranza, sembra configurarsi la subordinazione della seconda alla prima, in altri, invece, se ne prospetta una sorta di sviluppo contemporaneo e ricorsivo. Sempre, però – utile precisarlo – nel contesto di un riconoscimento esplicito dell’importanza dell’intenzionalità condivisa – diadica e collettiva – nel favorire e modellare l’evoluzione culturale.

L’attenzione prestata all’evoluzione filogenetica della lungimiranza, obiettivo dichiarato del volume, e al suo ruolo determinante nell’origine e sviluppo dei fenomeni culturali così tipici della specie umana, non implica, però, dimenticarsi della sua dimensione ontogenetica. Come ben dimostra il terzo capitolo, tutto dedicato all’approfondimento del suo sviluppo individuale, in cui la descrizione di aspetti teorici ben si integra con quella di paradigmi sperimentali. Interessante il riferimento alla possibilità di identificare specifici “orientamenti” temporali nei singoli individui, di solito sostanziati nella tendenza alla ricerca di gratificazioni nell’immediato o, di converso, a un loro differimento in proiezione futura. E come sia più vantaggioso dotarsi di un buon grado di plasticità nell’esercizio della propria lungimiranza, adottando processi valutativi che al contesto del momento facciano riferimento, piuttosto che, come di solito sembrano testimoniare numerose ricerche sull’argomento, valorizzare esclusivamente la tendenza alla procrastinazione. Al pari stimolanti le riflessioni degli autori sul tema della pratica perseverante, ulteriore aspetto che alla capacità previsionale rimanda, quale strumento funzionale all’apprendimento di abilità e competenze nei diversi ambiti esistenziali. Considerati nel complesso, tali elementi partecipano, ineludibilmente, al processo di costruzione, evoluzione e revisione dell’identità personale e del senso di sé dell’individuo, confermando e ribadendo – laddove ce ne fosse il bisogno – la centralità della capacità previsionale nello strumentario cognitivo dell’essere umano. Ricco e intrigante il capitolo, è innegabile. Ma di certo si sente la mancanza di qualunque informazione su quelle dimensioni evolutive – nel significato di “relazionali” – in grado di indirizzare se non di plasmare lo sviluppo cognitivo e metacognitivo dell’essere umano. Carenza che lo rende incompleto e che, con ogni probabilità, riflette l’attuale orientamento del mondo delle neuroscienze cognitive, in cui i diversi aspetti del rapporto tra dimensione interpersonale e funzioni esecutive sono di solito in gran parte negletti.

Un buon grado di completezza si ravvisa, invece, nella trattazione delle altre dimensioni che alla lungimiranza rimandano.

Come nel caso dei suoi aspetti neuroscientifici, campo di competenza specifica degli autori. I numerosi studi citati sottolineano, tra l’altro, quanto la capacità di operare viaggi mentali nel tempo si leghi alla presenza e attività della cosiddetta default mode network – rete neurale distribuita che coinvolge diverse aree corticali e sottocorticali. E quanto gli esseri umani siano in grado di esercitare un certo grado di controllo intenzionale suoi propri vagabondaggi temporali, a seguito dell’intervento regolatorio esercitato dalla rete frontoparietale, di cui la corteccia prefrontale rappresenta snodo fondamentale. Capacità regolatoria e modulatoria invece ben più lassa quando ci si rivolga a quella dimensione emozionale, che alla capacità previsionale inevitabilmente s’accompagna.

Approfondita, anche, l’esplorazione delle caratteristiche della lungimiranza nel mondo animale non umano. I dati citati dagli autori, ricchi e aggiornati, sembrano confermarne la presenza in diverse specie, quali delfini, corvidi e primati, antropomorfi e non, in una forma di base, elementare, in buona parte riflesso di fenomeni di apprendimento associativo. Distinta, però, in termini squisitamente qualitativi, dalla capacità previsionale riconoscibile negli esseri umani, la cui complessità e maturità è riconducibile, secondo gli autori, alla presenza di due specifici elementi, in tal senso considerati imprescindibili. Il primo rimanda alla capacità di elaborare scenari mentali annidati – con una metafora di origine teatrale -, processo cognitivo complesso in cui la rappresentazione mentale di situazioni alternative a livello immaginativo è seguita da una loro integrazione in narrazioni sempre più ampie e articolate. Il secondo, al primo strettamente relato, si riferisce alla motivazione a connettere la propria all’altrui mente, con la condivisione dei diversi scenari mentali prefigurati attraverso l’impiego del linguaggio. Quindi, la capacità di rappresentarsi il futuro necessita di essere intesa quale funzione composita, in costante dialettica con le altre componenti dello strumentario neurocognitivo esecutivo a disposizione dell’essere umano e ineludibilmente legata alla dimensione della cooperazione paritetica, con ogni probabilità tanto nel suo sviluppo, filo e ontogenetico, quanto nel suo esercizio.

Curato e esaustivo, infine, anche l’approfondimento dei vantaggi e degli svantaggi della lungimiranza, argomento a cui gli autori dedicano il capitolo conclusivo del loro volume. Tra i primi, particolare attenzione viene posta allo sviluppo del pensiero scientifico, che nel lessico della TEM rimanderebbe, a tutti gli effetti, alla motivazione epistemica e intersoggettiva – inclinazione biologicamente fondata alla costruzione, organizzazione e condivisione incessanti di conoscenza e significati. Tra i secondi, utile ricordare i diversi bias cognitivi in grado di ridurne, più o meno sensibilmente, l’efficacia, come quelli, descritti dagli autori, dell’ottimismo, della pianificazione e la cosiddetta euristica della disponibilità. Una loro puntuale consapevolezza, attraverso un adeguato esercizio della capacità metacognitive, senza dubbio permette di affinarne l’impiego, rendendolo così strumento ancor più potente di quanto non si sia già dimostrato nel corso della lunga storia evolutiva della specie umana.

Così, ai lettori interessati ad approfondire il tema, intrigante a onor del vero, della capacità previsionale, nei diversi aspetti che lo caratterizzano, non resta che augurare un buon viaggio… nel tempo! Nel libro, al di là dei limiti indicati, troveranno infatti una tale pletora di informazioni interessanti, aggiornate, ben argomentate e integrate, da consigliarne la lettura.

05 Ottobre 2023

 

Cristiano Ardovini
Psichiatra, Psicoterapeuta, ARPAS Roma

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

  • Banich, M.T. (2009): Executive function: The search for an integrated account. Current Directions in Psychological Science, 18(2), pp. 89-94.
  • Braver, T.S. (2012): The variable nature of cognitive control: A dual mechanisms framework. Trends in Cognitive Sciences, 16(2), pp. 106-113.
  • Liotti, G. (2001): Le opere della coscienza. Psicopatologia e psicoterapia nella prospettiva cognitivo-evoluzionista. Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • Liotti, G., Fassone, G., Monticelli, F. (a cura di) (2017): L’evoluzione delle emozioni e dei sistemi motivazionali. Teoria, ricerca, clinica. Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • Smaers, J.B., Gómez-Robles, A., Parks, A.N., Sherwood, C.C. (2017): Exceptional evolutionary expansion of prefrontal cortex in great apes and humans. Current Biology, 27(5), pp. 714-720.
  • Tomasello, M. (2019): Diventare umani. Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • Tomasello, M. (2023): Dalle lucertole all’uomo. Storia naturale dell’azione. Raffaello Cortina Editore, Milano.

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