Incertezza, intolleranza all’incertezza e distress psicologico nel contesto di emergenza sanitaria COVID-19 (di Gioia BOTTESI)

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L’intolleranza all’incertezza
The oldest and strongest emotion of mankind is fear, and the oldest and strongest kind of fear is fear of the unknown” (tratto da “Supernatural Horror in Literature”; Lovecraft, 1927).

“L’emozione più antica e forte dell’essere umano è la paura, e il tipo più antico e forte di paura è la paura dell’ignoto”. Così recita una delle più note citazioni di Howard Phillips Lovecraft, scrittore, poeta, critico letterario e saggista statunitense, riconosciuto tra i maggiori scrittori di letteratura horror (cit. in Joshi & Schultz, 2001). Pratica clinica ed evidenze scientifiche pubblicate nell’ultimo trentennio sostengono questa visione, documentando come la paura dell’ignoto, definita anche “intolleranza all’incertezza”, rappresenti un importante fattore di vulnerabilità coinvolto nello sviluppo di psicopatologia.

L’intolleranza all’incertezza (intolerance of uncertainty, IU) è una caratteristica disposizionale che emerge da un set di convinzioni negative riguardo l’incertezza e le sue conseguenze e che implica la tendenza a reagire negativamente a livello emozionale, cognitivo e comportamentale a situazioni ed eventi incerti (Buhr e Dugas 2002). Sono eventi incerti tutte quelle situazioni che potrebbero avere un esito positivo, neutro o negativo, ma che non si sono ancora verificate.

Il costrutto di IU è stato sviluppato negli anni ‘90 del secolo scorso da alcuni ricercatori canadesi presso la Laval University (Dugas, Gagnon, Ladoceur e Freeston 1998; Freeston, Rhéaume, Letarte, Dugas e Ladouceur 1994). Secondo le teorie cognitive, l’IU costituisce un costrutto centrale in riferimento ai disturbi d’ansia, congiuntamente ad altri aspetti quali la sovrastima della minaccia e il perfezionismo patologico. Individui con elevata IU tendono a sovrastimare la probabilità che eventi inaspettati, negativi e minacciosi possano accadere; a interpretare le informazioni ambigue come fonte di minaccia; a percepire di non possedere abilità di problem solving adeguate a fronteggiare situazioni improvvise e negative; a ritenere che gli eventi incerti debbano essere evitati indipendentemente dalla reale possibilità che possano verificarsi (Carleton, Norton e Asmundson 2007; Dugas et al. 1998).

Recentemente, l’IU è stata definita come “l’incapacità, di natura disposizionale, di sopportare le reazioni aversive scatenate dalla mancanza percepita di informazioni salienti, essenziali o sufficienti, sostenuta dall’associata percezione di incertezza” (Carleton 2016, p. 31). Il termine “intolleranza” si riferisce all’incapacità di sopportare o resistere a determinate condizioni: uno stimolo “intollerabile” è sempre avversivo e, quando un individuo lo incontra o cerca di anticiparlo, tendenzialmente induce una risposta emozionale negativa (ad esempio, paura o ansia). Secondo Carleton (2016), il nucleo dell’IU consiste nella paura intrinseca e disposizionale dell’ignoto. Persone con elevati livelli di IU mettono in atto comportamenti volti a predire e controllare le conseguenze di una determinata situazione, al fine di ridurre le conseguenze avversive e aumentare quelle appetitive. La prevedibilità implica valutazioni probabilistiche circa il verificarsi di un evento, su quando e dove avverrà e/o sulla sua intensità. Essa presuppone la presenza di un equilibrio tra percezioni conosciute e incognite: sulla base delle prime, la persona può effettuare previsioni le quali, tuttavia, potranno cambiare in funzione della percezione di incognite. La controllabilità, invece, implica la possibilità di ritenere con sufficiente certezza che le risorse disponibili siano in grado di influenzare le possibili conseguenze negative di un evento. La presenza di incognite riduce la capacità di previsione e controllo: in quest’ottica, i tentativi di aumentare la prevedibilità e la controllabilità percepite si caratterizzano come risposta di coping che caratterizzano l’IU (Carleton 2016).

La ricerca sul costrutto si è concentrata originariamente sul disturbo d’ansia generalizzata, una condizione caratterizzata dalla presenza di worry (preoccupazione) eccessivo e patologico. La letteratura più attuale identifica invece l’IU come fattore di vulnerabilità trans-diagnostico, coinvolto nello sviluppo e nel mantenimento di diversi altri disturbi psicologici: disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo di panico (e agorafobia), disturbo d’ansia sociale, disturbi dell’alimentazione e della nutrizione, depressione (Carleton 2016; McEvoy e Erceg-Hurn 2016). Evidenze ancor più recenti, inoltre, mostrano il coinvolgimento dell’IU nel mantenimento di comportamenti impulsivi disfunzionali tipici di condizioni caratterizzate da elevata disregolazione emozionale, quali il disturbo borderline di personalità e le dipendenze da sostanze (Bottesi, Ghisi, Caggiu e Lauriola submitted; Bottesi, Tesini, Cerea e Ghisi 2018). Dal momento che l’IU costituisce un processo trans-diagnostico rilevante per una serie di disturbi, si è coerentemente suggerito che possa anche costituire un obiettivo di trattamento trans-diagnostico (es. McEvoy e Erceg-Hurn 2016; Shihata, McEvoy, Mullan e Carleton 2016).

Strategie di gestione dell’incertezza

Originariamente, la ricerca sull’IU si è focalizzata in maniera prevalente sulle reazioni cognitive ed emozionali che tipicamente vengono ad attivarsi in risposta a situazioni incerte.  Successivamente, maggiore attenzione è stata destinata alle reazioni di tipo comportamentale, in primis all’evitamento (Thibodeau, Carleton, Gómez-Pérez e Asmundson 2013). Chi si caratterizza per elevata IU, infatti, tende a evitare informazioni e stimoli minacciosi in grado di innescare emozioni negative. La messa in atto di condotte di evitamento viene rinforzata negativamente dalla riduzione dell’ansia che a esse consegue. Questo fa sì che, a lungo termine, esse si configurino come un fattore di mantenimento dell’ansia stessa, dal momento che l’evitamento impedisce alla persona di elaborare l’esperienza emozionale e di sperimentare l’assenza del collegamento tra stimolo incerto e conseguenze avverse (Flores, López, Vervliet e Cobos 2018).

Oltre agli evitamenti, persone con elevati livelli di IU tendono a utilizzare differenti strategie di coping finalizzate a diminuire o rimuovere (1) l’incertezza che caratterizza una determinata situazione soggettivamente rilevante; (2) il disagio legato alla sensazione di incertezza. A tale proposito, sono state identificate cinque categorie di risposte comportamentali che gli individui possono intraprendere per gestire l’incertezza: iper-coinvolgimento, disimpegno, impulsività, esitazione e “flip-flop” (oscillazione) (Bottesi, Carraro, Martignon, Cerea e Ghisi 2019; Sankar, Robinson, Honey e Freeston 2017).

L’iper-coinvolgimento include vari comportamenti volti ad aumentare la certezza, come ad esempio la ricerca eccessiva d’informazioni o continuare a pensare a possibili esiti futuri e relative azioni da mettere in pratica. Il disimpegno implica la messa in atto di comportamenti finalizzati a evitare future situazioni incerte, come ad esempio distrarsi impegnandosi completamente nello svolgimento di altre attività. L’impulsività prevede l’agire senza pensare alle conseguenze delle proprie azioni, con l’obiettivo di eliminare immediatamente l’incertezza; questa modalità comprende sia fare la prima cosa che “passa per la testa”, sia il ricorso all’uso di alcol o sostanze per alleviare il disagio causato dall’incertezza. L’esitazione si traduce nel non agire, causato dalla difficoltà di scelta tra le strategie precedenti. Infine, il “flip-flop” (oscillazione) consiste nel continuo e repentino cambiamento di strategia, per cui la persona oscilla tra la ricerca della certezza e l’evitamento dell’incertezza (Sankar et al. 2017).

È doveroso sottolineare come ciascuna di queste strategie, di per sé, possa essere funzionale e adattiva: infatti, una strategia comportamentale diventa disfunzionale nel momento in cui viene impiegata in modo rigido e stereotipato. Pertanto, è l’utilizzo costante e inflessibile di tali strategie a rappresentare un potenziale fattore di rischio per lo sviluppo di disagio psicologico e, a lungo termine, di psicopatologia, soprattutto in chi ha difficoltà a tollerare l’incertezza (Bottesi et al. 2019).

Incertezza e salute

Incertezza e salute sono concetti strettamente connessi: non è, infatti, possibile raggiungere una condizione di autentica e piena certezza riguardo alla salute propria e altrui. Similmente, un certo grado di imprevedibilità e ambiguità è inscindibile dal concetto di malattia e, ancor più, di morte. La durata dei sintomi, l’ambiguità circa le loro cause, decorso e prognosi sconosciute di una malattia e la disponibilità di differenti protocolli terapeutici, ciascuno caratterizzato da diversi esiti possibili, sono tutti elementi in grado di innescare forti sensazioni di incertezza (Fischerauer, Talaei-Khoei, Vissers, Chen e Vranceanu 2018). Hillen, Gutheil, Strout, Smets e Han (2017) hanno inoltre evidenziato come, nel contesto dell’assistenza sanitaria, l’incertezza riguardi un gran numero e una grande varietà di incognite: se un paziente ha o svilupperà una particolare condizione, come si evolverà questa condizione, in che misura un particolare trattamento sarà benefico e se un paziente riceverà le cure giuste, nel posto giusto, al momento giusto, dalle persone giuste.

Una recente meta-analisi in cui sono stati presi in considerazione 32 studi condotti in relazione a svariati contesti sanitari ha messo in luce che l’incertezza nella malattia è fortemente e positivamente associata alla presenza di elevata ansia e a comportamenti volti all’evitamento di informazioni sanitarie (Kuang e Wilson 2017). Secondo la teoria formulata da Mishel (1988), l’incertezza nella malattia comprenderebbe quattro aspetti principali: 1) antecedenti che generano incertezza, 2) valutazione dell’incertezza, 3) gestione dell’incertezza e 4) adattamento alla malattia.

In base a questa concettualizzazione, stimoli nuovi correlati alla malattia causerebbero incertezza nel momento in cui le persone non hanno familiarità con l’esperienza in sé (ad esempio, con i sintomi, l’ambiente sanitario, le attività di trattamento) o quando le loro aspettative sono incoerenti con le proprie esperienze pregresse. L’interpretazione degli stimoli associati alla malattia sembra essere moderata dalle abilità cognitive dell’individuo. Inoltre, persone che dispongano di adeguati livelli di istruzione, sostegno sociale e supporto da parte degli operatori sanitari sarebbero in grado di prevedere e comprendere in modo migliore le proprie esperienze; tali fattori, infatti, sembrano fattori promuovere una riduzione dell’incertezza (Zhang 2017). Qualora la situazione incerta sia valutata come un pericolo, le persone cercherebbero di eliminarla o ridurla. Nella gestione dell’incertezza sarebbero coinvolte sia strategie attive volte a eliminarla (ad esempio, azioni dirette, ricerca di informazioni, mantenimento della vigilanza), sia strategie di controllo delle emozioni finalizzate a ridurre al minimo il disagio associato all’incertezza (ad esempio, disimpegno emozionale, supporto emozionale) (Zhang 2017). Se, al contrario, la situazione incerta viene vissuta come una sfida o in termini di opportunità, la persona sarebbe spinta a mantenere l’incertezza selezionando strategie di buffering (es. evitamento, ignorare selettivamente, neutralizzare informazioni minacciose). A tale proposito, è stato osservato che le strategie di buffering sono in grado di bloccare l’input di nuovi stimoli che possono modificare la valutazione di incertezza dell’individuo da opportunità a pericolo. In linea generale, dunque, se le strategie di coping sono efficaci, potranno condurre a un nuovo equilibrio e all’adattamento alla malattia (Mishel 1988; Zhang 2017).

Incertezza, distress psicologico e COVID-19

L’attuale emergenza sanitaria COVID-19 sta innegabilmente favorendo il consolidarsi di incertezza pervasiva e duratura. A oggi, non sono infatti disponibili informazioni certe circa la diffusione, le conseguenze, il contenimento e il trattamento di COVID-19. Queste incertezze si modificano di giorno in giorno: l’Organizzazione Mondiale della Sanità fornisce costanti aggiornamenti su una condizione in continua evoluzione; nel contempo, si stanno diffondendo innumerevoli notizie incerte, sia buone sia cattive. Le incertezze relative a COVID-19 sono legate alla natura vaga e imprevedibile della malattia, alla comprensione limitata della condizione e alla sua probabile progressione, alla scarsa conoscenza dell’efficacia di possibili cure, alla scarsa conoscenza di quelle che saranno – a breve lungo termine- le ripercussioni di questa epidemia a vari livelli (individuale, salute pubblica, economia e finanza, eccetera). Non disporre di sufficienti informazioni relativamente a cosa aspettarsi dalla malattia e a come possa progredire in futuro mantiene attualmente irrisolti i dubbi relativi al modo migliore di fronteggiare questa situazione dall’esito evidentemente incerto.

Circostanze nuove, mutevoli e stressanti come quella attualmente in corso spingono le persone ad agire per gestire la spiacevolezza dell’incertezza e il disagio che a essa consegue. Nel contesto dell’emergenza sanitaria COVID-19, due sono le tipologie di risposte potenzialmente maladattive prevalenti: condotte ascrivibili all’iper-coinvolgimento e condotte riconducibili a disimpegno e impulsività.

Come precedentemente illustrato, l’iper-coinvolgimento è spinto dalla necessità di incrementare la certezza. Esemplificativa di questo atteggiamento è l’eccessiva ricerca di informazioni sull’evoluzione di COVID-19, attuata ad esempio mediante il costante monitoraggio di pagine internet/siti web/social media e la continua visione di telegiornali e trasmissioni televisive sull’argomento. Riprodurre più e più volte nella propria mente le informazioni acquisite su COVID-19 e rimuginare su possibili conseguenze (sulla salute propria e altrui, sul lavoro, sul futuro) e possibili soluzioni da intraprendere sono altre strategie che rientrano in questa tipologia di coping attivo. I comportamenti qui descritti sono in genere motivati da una (illusoria) percezione di incrementato controllo sulla situazione, congiuntamente alla convinzione che tali azioni aiutino ad “arrivare il più preparati possibile” a ogni eventualità. Le principali conseguenze negative di questo approccio consistono nell’ulteriore incremento della sensazione di incertezza e nel possibile instaurarsi della cosiddetta “certezza negativa” (per es. “tutto andrà necessariamente nel peggior modo possibile”). Infatti, le informazioni disponibili su COVID-19 si modificano di giorno in giorno. Continuare ad acquisirne e a preoccuparsene in maniera ricorrente ha effetti controproducenti, perché purtroppo l’assenza di informazioni certe è un elemento intrinseco alla situazione.

Disimpegno e impulsività sono modalità volte, rispettivamente, a evitare l’incertezza o a eliminarla in maniera immediata. Evitare attivamente tutto ciò che faccia pensare a COVID-19 e comportarsi come se non stia accadendo nulla di grave sono esempi di disimpegno. Come illustrato in precedenza, l’evitamento permette di non provare emozioni negative nel breve termine, consentendo alla persona di sentirsi sollevata. Tuttavia, è possibile che, in un qualche momento, non vi sia più la possibilità di evitare completamente la situazione. Quando la persona sarà costretta ad affrontare informazioni o circostanze correlate COVID-19 (ad esempio, apprendendo che un conoscente è risultato positivo al tampone), è probabile che provi emozioni negative particolarmente intense e persistenti, dal momento che l’evitamento non le ha consentito di esporsi e rielaborare cognitivamente la situazione temuta. La combinazione di disimpegno e impulsività può incentivare, infine, la messa in atto di condotte trasgressive contrarie alle norme previste dal lockdown. Alcune persone, infatti, possono decidere di non seguire le prescrizioni e continuare a uscire per fare una passeggiata o jogging, ritenendo che non privarsi di queste attività non sia dannoso; anzi, la percezione è che non praticarle danneggi le proprie abitudini e la propria qualità di vita. Oppure, alcune persone possono ritenere che aderire ad alcune raccomandazioni (ad esempio, indossare mascherine) sia inutile, dal momento che buona parte delle altre persone lo sta già facendo. Questi comportamenti minimizzano il disagio legato all’incertezza, ma chiaramente incrementano il rischio di provare emozioni negative (ansia, rabbia, ma anche colpa) successivamente, nel momento in cui qualcosa andasse storto o non fosse più possibile comportarsi come se la situazione non fosse seria. Inoltre, tali condotte potrebbero mettere seriamente a rischio la salute sia individuale sia pubblica.

I professionisti della salute mentale hanno il compito fondamentale di aiutare le persone a comprendere l’importanza di imparare a tollerare l’incertezza: cercare di controllare la situazione, infatti, non costituisce una strategia efficace per la gestione delle emozioni negative. Anzi, date le caratteristiche di COVID-19, l’esercizio di controllo risulta poco praticabile se non impossibile. Imparare a tollerare l’incertezza implica l’assunzione di una posizione equilibrata e intermedia tra iper-coinvolgimento e disimpegno, guidata dalla conoscenza delle poche ma purtuttavia presenti certezze relative al funzionamento di COVID-19. Ad esempio, consultare esclusivamente fonti di informazione ufficiali e affidabili (es. Ministero della Salute, Protezione Civile) un paio di volte al giorno (es. mattina e sera) può essere una condotta ragionevole, perché consente di rimanere aggiornati sulla situazione senza eccedere nella ricerca di informazioni pur non sconfinando nell’evitamento. Allo stesso modo, pianificare alcuni momenti, nel corso della giornata, da dedicare alla pratica di attività piacevoli dentro le mura domestiche (es. ascoltare musica, leggere un buon libro, fare una telefonata a nostro caro, vedere un film, fare attività fisica) consentirà di distrarsi, seppur temporaneamente, dalla spiacevolezza della situazione, contribuendo al contempo a migliorare il tono dell’umore e a contenere l’ansia. Ancora, aderire alle prescrizioni favorirà lo stabilirsi di un graduale processo di “normalizzazione” del fenomeno in atto; più persone faranno proprie le nuove abitudini quotidiane che la convivenza con COVID-19 impone, più si svilupperanno un senso di responsabilità condivisa e una ridefinizione del concetto di “normalità”. Un adattamento efficace alla nuova realtà dettata da COVID-19 non sarà impossibile, ma presupporrà l’attuazione di uno sforzo attivo e collettivo verso l’accettazione dell’ignoto e la condivisione di un atteggiamento flessibile e resiliente.

Si segnala che è attualmente in corso uno studio volto ad approfondire le conoscenze sulla relazione che intercorre tra incertezza, ansia, e comportamenti messi in atto in situazioni incerte nel contesto dell’emergenza sanitaria COVID-19. Lo studio si colloca all’interno di un progetto di ricerca internazionale sviluppato e avviato nel mese di febbraio 2020 dal gruppo di ricerca UNiCORN (UNcertainty in COronavirus Research Network). Il team UNiCORN è costituito da un gruppo di esperti con documentata esperienza di ricerca e clinica nell’ambito della valutazione e del trattamento dell’intolleranza all’incertezza. I membri fondatori di UNiCORN sono ricercatori presso la Newcastle University, UK (Prof. Freeston, Dott.sse Mawn e Tiplady) e l’Università di Padova (Dott.ssa Gioia Bottesi).

Lo studio è multicentrico e prevede la compilazione di una survey online. Possono partecipare a questa ricerca esclusivamente persone che abbiano almeno 18 anni. La survey è attualmente disponibile in quattro lingue:

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Gioia Bottesi  PhD
Ricercatrice in Psicologia clinica, Psicologa clinica e Psicoterapeuta
Dipartimento di Psicologia Generale, Università degli Studi di Padova
Docente Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Training School di Roma e di Jesi

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